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Bicameralismo perfetto: cos’è, vantaggi e svantaggi

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Sia che voi siate studenti o semplici cittadini interessati alle dinamiche politiche del Paese, è probabile che vi siate chiesti cos’è il bicameralismo perfetto o paritario molto spesso richiamato dai politici e dagli esperti: come funziona e quali sono i vantaggi e gli svantaggi che la forma di governo può avere dalla sua adozione? In Italia questo concetto è stato spesso richiamato come uno dei principali problemi riguardo la possibilità di consentire a Camera dei Deputati e Senato di legiferare velocemente: ma è veramente così?

In questa guida, che arricchisce la nostra sezione divulgativa di diritto pubblico, cercheremo di capire cos’è il bicameralismo e, in particolare, come funziona il bicameralismo perfetto in Italia. Il fatto è molto importante perchè a fine 2016 si voterà per il referendum sulle riforme istituzionali varate dal governo Renzi.

Cenni sul bicameralismo

La necessità di dotare lo Stato di assemblee che rappresentino il popolo nasce, fondamentalmente, dall’aspirazione di governo della borghesia. Quando in Inghilterra nel XIII secolo si gettarono le fondamenta del moderno concetto di Stato, con i baroni che iniziarono a ottenere autonomia rispetto al Re, si ritenne che si dovesse dar luogo ad assemblee collegiali in cui coinvolgere i rappresentati delle classi sociali chiamate a dire la propria. Considerate le differenze di formazione e la divergenza degli interessi in gioco, si preferì ricorrere a due distinte riunioni: la Camera dei Lord, formata da nobili a titolo ereditario, e la Camera dei Comuni, composta dai membri eletti dai cittadini non privilegiati. Anche in Francia gli Stati Generali riproducevano sul piano politico le classi sociali in cui si poteva scomporre la popolazione. Tutti i Parlamenti più antichi, dunque, nascono sostanzialmente per riprodurre le diverse anime protagoniste nella società. Anche quando successivamente vengono alla luce Stati Federali, la struttura bicameraleresta intatta per esplicare, stavolta, le istanze territoriali.

Con il passare del tempo la situazione, in molti casi, si è evoluta e si è sviluppata una dicotomia fra bicameralismi e monocameralismo. Un dato di fondo, però, può essere gettato parlando dell’accezione bicameralista al plurale, viste le diverse forme e funzioni che assumono le Camere nei vari Paesi. Mentre infatti il monocameralismo, ove esiste ed è inserito nell’ambito di uno Stato democratico, è caratterizzato per affinità sostanziali nelle strutture, il bicameralismo assume varie connotazioni che non sempre sono classificabili in maniera uniforme nell’ambito di una comparazione. E’ vero, però, che nelle democrazie occidentali i parlamenti monocamerali sono spesso l’esito di un processo di riforma che ha portato all’abolizione della Camera alta, mentre nelle altre esperienze in tanti casi rappresentano l’esito di forzature decisamente poco democratiche.

Il bicameralismo perfetto italiano

La distinzione di scuola generalmente vuole la dicotomia fra bicameralismo perfetto e imperfetto. Il primo è tipico dei Paesi come l’Italia dove il procedimento legislativo è caratterizzato dall’assegnazione dei medesimi poteri ad entrambe le Camere. Al riguardo, l’articolo 70 della Costituzione parla chiaro:
«La funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due Camere»
Abitualmente si ritiene che questo sistema sia più lento rispetto agli altri perché la singola legge deve essere discussa, emendata e approvata sia alla Camera dei Deputati che al Senato della Repubblica. Il testo deve essere votato in maniera identica, la modifica da parte di una delle due assemblee determina la necessità che il provvedimento sia spedito nuovamente all’altra. E’ in questo contesto che si incardina una degenerazione che prende il nome di navetta: il fenomeno si verifica proprio quando una legge, piuttosto che essere approvata, fa il giro più volte delle due Camere senza che mai ci sia un ok unanime sul medesimo testo.

Tuttavia non tutti si esprimono all’unisono sul concetto di bicameralismo perfetto. Quello vigente in Italia sarebbe, secondo alcuni, «paritario»: non c’è nulla di perfetto nel bicameralismo italiano se, nell’interpretazione letterale, perfetto è un aggettivo che attiene alla valutazione del funzionamento, delle prestazioni e del rendimento del suddetto bicameralismo. Semmai, l’aggettivo corretto dal punto di vista descrittivo è «paritario» poiché coglie i punti effettivamente rilevanti: la Camera dei Deputati e il Senato della Repubblica hanno gli stessi poteri, in particolare quello, grande e caratterizzante i rapporti fra legislativo e esecutivo, di dare/togliere la fiducia al governo.

Le due Camere, tuttavia, presentano alcuni piccoli aspetti di differenziazione. A partire dal 1963, con la legge costituzionale n. 3, entrambi i rami del Parlamento hanno eguale durata. Il Senato è agganciato al territorio regionale ai sensi dell’art. 57 Cost. che afferma il principio secondo cui la sua elezione è «a base regionale». Sul punto, però, il Costituente altro non dice ed ancora oggi se ne parla poco.

Cos'è il bicameralismo perfetto
Riguardo alla composizione, inoltre, Camera e Senato hanno differenziazioni quantitative: 630 sono i membri eletti a Montecitorio, in 315 invece siedono a Palazzo Madama. Solo per il Senato, inoltre, è previsto dall’art. 59 Cost. comma due che il Presidente della Repubblica possa nominare cinque “Senatori a vita”. Altri membri non elettivi, poi, sono i Presidenti emeriti che, alla scadenza del mandato e salvo rinuncia, diventano appunto senatori ai sensi del comma primo della norma in esame.

Ultimo aspetto di distinzione lo si legge nelle diverse età per l’elettorato attivo e passivo. Il diritto di voto, infatti, si acquista con il compimento dei 18 anni per la Camera dei Deputati e dei 25 per il Senato. Per diventare deputati è necessario avere almeno 25 anni, 40 anni invece è l’età necessaria per ambire ad uno scranno a Palazzo Madama.

La figura dei Senatori a vitaè prevista dall’articolo 59 della Costituzione. Secondo la Carta è senatore a vita, salvo rinuncia, chi è stato Presidente della Repubblica (comma 1). Il Capo dello Stato può, ai sensi del comma 2, nominare «cinque cittadini che hanno illustrato la Patria per altissimi meriti nel campo sociale, scientifico, artistico e letterario».

Sul ruolo dei senatori a vita si è discusso molto in occasione della formazione del Governo Prodi II, rimasto in carica dal 2006 al 2008. In quella fase al Senato risultò particolarmente prezioso alla maggioranza il voto dei senatori non eletti, tant’è che l’opposizione di Centrodestra avviò una vera e propria battaglia politica contro di essi, rei di fare «da stampella» all’esecutivo.

Sul punto si sono sostenute le opinioni più disparate: si è sostenuto che, non essendo eletti, non rappresenterebbero nessuno o alcunché. Aspetto, questo, non vero a tenore dell’art. 67 Cost. secondo cui tutti i membri del Parlamento rappresentano la nazione, senza far particolare menzione dei senatori a vita. Alcuni autori, invece, hanno propugnato la tesi della “irresponsabilità politica” dei senatori a vita ma ciò nemmeno pare corretto perché si confonde la responsabilità di qualsiasi parlamentare nei confronti dell’opinione pubblica per gli atti compiuti nell’esercizio del suo mandato con l’impegno che invece un candidato assume in vista delle elezioni rispetto al corpo elettorale. Altri, ancora, hanno sostenuto che i senatori a vita voterebbero non sulla base dell’appartenenza ad un determinato schieramento politico ma “secondo coscienza”, come se la diversa modalità di preposizione alla carica annullasse la natura fondamentalmente politica della carica che assumono.
In realtà, fatta eccezione per la specifica precisazione che il primo comma dell’articolo 59 fa rispetto alla possibilità di rinunciare alla carica per gli ex Presidenti della Repubblica, nulla dice la Costituzione rispetto ai senatori a vita che pertanto sono sullo stesso livello dei membri elettivi. Nemmeno dalle norme parlamentari o dalla prassi discendono particolarità relative a detti membri, il che lascia intendere che nessuna distinzione sul piano giuridico è stata concretamente statuita, eccetto ovviamente le modalità di elezione. D’altro canto non si capisce perché, tenendo in considerazione il divieto di mandato imperativo, soltanto i senatori a vita dovrebbero votare “secondo coscienza” e gli altri no, sempre-ché tale affermazione volesse stare a significare che ai senatori a vita è concessa una qualche forma di libertà morale maggiore o più ampia rispetto agli altri.

Una questione un tantino diversa è quella relativa al fatto che il Governo Prodi veniva accusato di rimanere in piedi senza una maggioranza “politica”, laddove come tale è da ritenersi una maggioranza in qualche modo “autosufficiente” rispetto al voto dei senatori a vita che, liberamente, possono decidere di sostenere la politica dell’esecutivo. Allorquando il Capo dello Stato Giorgio Napolitano decise di rinviare il Governo alle Camere al termine delle consultazioni derivanti dalla crisi, nel comunicato precisò che la verifica che esso doveva fare era relativa alla sussistenza di una “maggioranza politica”. E’ stata intesa tale affermazione nel senso che oltre alla maggioranza in senso tecnico – raggiungibile mediante il voto favorevole di tutti gli aventi diritto – il Governo doveva valutare l’esistenza della maggioranza dei senatori eletti pronti a sostenerlo (c.d. maggioranza governativa), al fine di dimostrare che l’esecutivo fosse rappresentativo “elettoralmente” e non solo numericamente. Su ciò si è sostenuto che la “maggioranza elettorale” potesse essere, al Senato, anche variabile di votazione in votazione, purché raggiunta con il voto dei senatori eletti.

Il ragionamento così esposto può anche reggere, in virtù del fatto che tutto ciò non è vietato dalla Costituzione la quale, però va precisato, non impedisce la possibilità che una maggioranza vada avanti col voto decisivo dei senatori a vita (aspetto che invece pare delinearsi da questa interpretazione che, in ogni caso, non può remare in senso contrario rispetto alla Carta e resta pur sempre una valutazione politica). Quello che emerge, però, è l’ulteriore e progressivo accentuarsi dell’instabilità.

Le opinioni espresse sono il frutto del dibattito dottrinale sviluppatosi nel 2007: non serviva una sfera di cristallo già allora per prevedere tutto questo. Il Governo Prodi, infatti, cadde poco dopo per via delle frizioni politiche interne alla coalizione uscita vincente, di un soffio, alle elezioni del 2006. Al di là del ruolo dei senatori a vita, infatti, un modello che pretende di garantire la stabilità deve determinare la certezza a chi vince le elezioni di poter contare su una maggioranza solida in Parlamento, eccetto cambiamenti anche clamorosi che sono pur sempre possibili vista la libertà di cui gode ciascun parlamentare. Accanto a questo, però, è necessaria anche una maggiore serietà delle forze politiche nel mantenere gli impegni assunti, troppo spesso disattesi non appena cala il sipario sulla campagna elettorale. Ma questa è una valutazione squisitamente politica che postula una crescita non solo dei partiti ma anche dei cittadini che hanno il dovere morale di mantenere sempre attivo il controllo sui loro rappresentanti all’interno delle istituzioni democratiche della nazione.


Conclusioni: è il bicameralismo perfetto il problema?

Abbiamo visto che cos’è il bicameralismo perfetto, perché secondo gli esperti dovrebbe essere considerato paritario per non fare confusione ed abbiamo accennato alle dinamiche che hanno portato alla formazione dei parlamenti bicamerali nelle democrazie occidentali.

Al di là di tutto, chi ritiene che il bicameralismo perfetto sia la causa della lentezza del legislatore fa un ragionamento piuttosto fuorviante. Le maggioranze ballerine e litigiose e le influenze spesso esterne alla politica portano i partiti a litigare per ben altri motivi e la forma, sebbene bizantina, non ci pare un ostacolo oggettivo alla possibilità di legiferare in fretta. Basti pensare che quando il parlamento ha dovuto ratificare provvedimenti come il c.d. Lodo Alfano o la riforma pensioniFornero l’ha fatto in tempi assai più celeri di quelli per approvare le leggi che aspettiamo da anni in materia economica e civile.

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