La maternità obbligatoriaè un istituto inerente al Diritto del Lavoro e prevede, per le gestanti prima e per le mamme poi, un periodo di astensione dal lavoro della durata di 5 mesi in totale. Si tratta di un istituto posto ovviamente a salvaguardia della donna in quanto madre e lavoratrice, e che permette al tempo stesso di offrire al neonato la possibilità di stare vicino alla madre, con costanza e senza l’ossessione del lavoro, nei primi mesi di vita. Vediamo insieme quali sono le caratteristiche di questo istituto, cosa cambia rispetto alla maternità facoltativa, come va richiesto, quanta parte della retribuzione “normale” si ottiene e se ci sono cavilli da conoscere per non rimanere a bocca asciutta.
Ricordiamo che alla maternità obbligatoria, prevista dal sistema assistenziale statale, si affiancano altre forme integrative come ad esempio il FondoEst di cui abbiamo parlato in un'apposita guida.
Ci sono però contratti collettivi che derogano alla norma stabilita in carattere generale (in quanto la possibilità è comunque prevista dalla legge) e possono permettere alla gestante di raggiungere il 100% della copertura dell’ultimo periodo di paga, fino a parto avvenuto e oltre.
La domanda da inoltrare al datore di lavoro può essere identica a quella che viene preparata per l’INPS. Non sta comunque al datore di lavoro, nel caso in cui l’INPS ravvisi il diritto della gestante alla maternità obbligatoria, scegliere se concederla o meno, trattandosi di norma di legge che non può essere superata neanche in caso di eventuale accordo tra le parti.
Affinchè la domanda sia accettata bisogna trovarsi al settimo mese di gestazione, dato che l’istituto copre, ex-lege, 5 mesi, ovvero 2 prima del parto e 3 dopo il parto.
Per ottenere la maternità anticipata però è necessario fare domanda, sia se si tratti di gravidanza a rischio, sia se si tratti di condizioni di lavoro non adatte ad una gestante. La domanda deve essere presentata in via esclusiva alla DPL, ovvero Direzione Provinciale del Lavoro. Va allegata la certificazione medica, che deve essere rilasciata dalla ASL oppure da una struttura medica riconosciuta dalla ASL. Nel caso in cui non arrivi alcuna risposta entro i primi 7 giorni, la domanda è da considerarsi accettata: si tratta di una misura tesa, ovviamente, ad evitare i classici ritardi della burocrazia e garantire alla madre un ambiente salubre.
Successivamente al parto, dura 3 mesi (a patto che non sia scelto di posticipare la maternità, come detto poco prima), ai quali vanno comunque aggiunti dei giorni in deroga, nel caso in cui ci fossero, per parto prematuro e precoce. I 3 mesi vanno calcolati, per intenderci, sempre a decorrere dalla data presunta di parto, e non da quella effettiva nel caso in cui si tratti di parto, appunto, precoce. Anche per il post-part l’ASL o la DPL può attribuire dei giorni “bonus”, nel caso in cui la donna sia destinata a mansioni che non sono incompatibili con il suo stato di salute di puerpera.
Ne abbiamo parlato diffusamente in un altro articolo ed è per questo che ricorreremo ad una brevissima sintesi: si tratta di un permesso di 2 ore, su base giornaliera, che è stato pensato per consentire, appunto, l’allattamento.
Può essere richiesto anche dal papà, nel caso in cui la mamma non volesse usufruirne e completa un po’ quello che è il ciclo dei diritti della gestante e neo-mamma.
Si tratta del diritto di avere a disposizione, oltre i primi 3 mesi di maternità, 6 mesi in totale (da consumare sia in modo continuativo che invece a scaglioni, come si preferisce) per stare lontani dal lavoro e occuparsi del bambino. Può essere richiesto da entrambi i genitori, ma in quel caso non può superare, a seconda dei casi, i 10 o gli 11 mesi.
Successivamente al termine della maternità obbligatoria, che è un’astensione praticamente forzata dal lavoro, le mamme (e i papà) possono dunque scegliere di prolungare il periodo di allontanamento dal lavoro, fino ad un massimo di 6 mesi (e qualcosina in meno nel caso in cui scelga di usufruirne anche il papà).
Successivamente, nella fascia di età che va dai 3 agli 8 anni, sono concessi esclusivamente 5 giorni l’anno per genitore. I permessi così ottenuti non vengono retribuiti, anche se ovviamente non possono dare luogo ad azione disciplinare nei vostri confronti.
Per arginare il fenomeno del congedo parentale, la Repubblica Italiana mette a disposizione un trattamento economico integrativo di 600 euro (qui la guida: Voucher Baby Sitter INPS), il cui utilizzo è però vincolato al pagamento o di baby sitter, oppure di asili nido. L’allontanamento dal lavoro, per le casse dell’INPS, è sicuramente più oneroso, dal momento in cui si deve corrispondere dell’80% del salario, che spesso e volentieri è più alto dei 600 euro di bonus forniti per pagare le baby sitter.
Questa possibilità inoltre, al contrario di quanto avviene per la maternità obbligata, è aperta anche alle mamme che sono iscritte alla gestione separata dell’INPS. Questo vale ovviamente per chi non è iscritto ad una particolare cassa previdenziale, all’interno delle quali sono previsti trattamenti per la maternità da individuare caso per caso.
Si tratta di una situazione che purtroppo colpisce moltissime donne nel nostro paese, e che rende ancor più difficile, se fosse possibile, pianificare una gravidanza per le giovani coppie. Le garanzie, come avete potuto vedere da questo articolo, ci sono, basta conoscere i propri diritti!
Ricordiamo che alla maternità obbligatoria, prevista dal sistema assistenziale statale, si affiancano altre forme integrative come ad esempio il FondoEst di cui abbiamo parlato in un'apposita guida.
Che parte dello stipendio vi spetta durante la maternità?
Seguendo la norma di legge, che è operativa in senso generale nel caso in cui i Contratti Collettivi Nazionali non vi deroghino, durante la maternità obbligatoria si percepisce l’80% della retribuzione ritenuta normale. L’importo viene calcolato sull’ultimo periodo di paga, il precedente immediato dell’ultimo periodo di paga scaduto. Le norme per calcolare l’80% in questione possiamo trovarlo, per chi ne fosse interessato, agli articoli 22 e succ. del T.U.Ci sono però contratti collettivi che derogano alla norma stabilita in carattere generale (in quanto la possibilità è comunque prevista dalla legge) e possono permettere alla gestante di raggiungere il 100% della copertura dell’ultimo periodo di paga, fino a parto avvenuto e oltre.
Chi paga l’indennità di maternità?
L’indennità di maternitàè anticipata dal datore di lavoro, così come stabilito dalle leggi vigenti. Ci sono casi in cui però è direttamente l’INPS ad erogare l’assegno:- per le lavoratrici stagionali
- per le lavoratrici del mondo dello spettacolo saltuarie e/o a termine
- per chi è addetta ai servii familiari o domestici (parliamo nello specifico di colf e badanti)
- per le lavoratrici sospese (torneremo più avanti su questo punto)
- per le lavoratrici disoccupate (anche in questo caso ne parleremo di seguito)
Come e quando fare domanda?
Per avere diritto di accedere all’indennità, la lavoratrice dipendente deve necessariamente rivolgere domanda sia al datore di lavoro sia all’Istituto Nazionale Previdenza Sociale. Alla domanda va sicuramente allegata una certificazione medica della gravidanza, che deve inoltre specificare quali siano le date presunte di parto e soprattutto il mese di gravidanza che si sta affrontando.La domanda da inoltrare al datore di lavoro può essere identica a quella che viene preparata per l’INPS. Non sta comunque al datore di lavoro, nel caso in cui l’INPS ravvisi il diritto della gestante alla maternità obbligatoria, scegliere se concederla o meno, trattandosi di norma di legge che non può essere superata neanche in caso di eventuale accordo tra le parti.
Affinchè la domanda sia accettata bisogna trovarsi al settimo mese di gestazione, dato che l’istituto copre, ex-lege, 5 mesi, ovvero 2 prima del parto e 3 dopo il parto.
E dopo il parto?
Per continuare ad avere diritto all’assegno anche dopo il parto, è necessario dare notizia all’Istituto dell’INPS. Si ha diritto a percepire l’indennità per 3 mesi successivamente alla data del parto e bisogna pertanto dare pronta comunicazione (entro 30 giorni) all’INPS dell’avvenuta nascita, corredata da apposito certificato.Chi ha diritto a percepire la maternità?
Le categorie di lavoratrici che hanno diritto a percepire l’indennità di maternità sono le seguenti:- a tutte le categorie di lavoratrici che sono iscritte all’INPS, con assicurazione anche per la maternità. Il gruppo include apprendiste, operaie, impiegate di ogni livello, dirigenti. Il rapporto di lavoro deve essere attualmente in corso al momento della richiesta di inizio del congedo;
- alle disoccupate, nel caso in cui il congedo sia iniziato entro 60 giorni dall’ultimo giorno di lavoro, oppure nel caso in cui siano passati già i 60 giorni ma spetti comunque l’assegno di disoccupazione;
- alle disoccupate che negli ultimi due anni sono state impiegate in mansioni che non sono comprese nell’alveo di quelle coperte dall’indennità di maternità, a patto che il congedo sia iniziato massimo entro 180 giorni dall’ultimo giorno di lavoro. È necessario anche che negli ultimi due anni siano stati versati almeno 26 contributi settimanali, ovvero di media 1 su 4;
- a chi è lavoratrice agricola a tempo indeterminato o determinato, senza alcuna discriminazione, adatto che sia iscritta negli elenchi nominativi annuali per almeno 51 giorni l’anno;
- a chi è addetta ai servizi domestici, familiari, di pulizia. Anche in questo caso sono necessari i 26 contributi settimanali nell’anno precedente o 52 negli ultimi due anni;
- a chi lavora a domicilio;
- a chi lavora LSU o APU (pubblica utilità e in attività socialmente utili);
- a chi lavora in regime di assicurazione ex IPSEMA.
Si può anticipare e/o posticipare?
Sì, la maternità obbligatoria può essere posticipata o anticipata in alcuni casi, che andremo ad elencare di seguito. Innanzitutto può essere anticipata nel caso in cui si stia affrontando una gravidanza a rischio, ovvero quando si siano presentate durante la gestazione delle complicazioni, certificate e attestate ovviamente dal ginecologo. Allo stesso modo, se il luogo di lavoro può essere considerato insalubre per una gestante, si può richiedere di svolgere mansioni diverse. Nel caso in cui questo non fosse possibile, si può prolungare l’astensione dal lavoro coperta da indennità, che può raggiungere anche i 7 mesi.Per ottenere la maternità anticipata però è necessario fare domanda, sia se si tratti di gravidanza a rischio, sia se si tratti di condizioni di lavoro non adatte ad una gestante. La domanda deve essere presentata in via esclusiva alla DPL, ovvero Direzione Provinciale del Lavoro. Va allegata la certificazione medica, che deve essere rilasciata dalla ASL oppure da una struttura medica riconosciuta dalla ASL. Nel caso in cui non arrivi alcuna risposta entro i primi 7 giorni, la domanda è da considerarsi accettata: si tratta di una misura tesa, ovviamente, ad evitare i classici ritardi della burocrazia e garantire alla madre un ambiente salubre.
La posticipazione della maternità
Si può usufruire del diritto alla maternità anche posticipatamente: si può scegliere di lavorare fino all’ultimo mese prima della gravidanza, per poi guadagnare un mese nella seconda parte della maternità, ovvero quella post-parto. Il totale rimane comunque, ovviamente, di 5 mesi, dato che alla posticipazione non sono legati problemi di salute o insalubrità del luogo di lavoro: si tratta semplicemente della scelta della futura madre, che invece certifica che le condizioni di lavoro sono buone al punto tale da consentirle di rimanere oltre il settimo mese di gestazione.Quanto dura in totale la maternità obbligatoria?
La maternità obbligatoria dura per due mesi prima del parto, ai quali vanno aggiunti i “bonus” stabiliti dalla DPL nel caso in cui ci siano o gravidanza a rischio, oppure un ambiente di lavoro non adatto ad una gestante.Successivamente al parto, dura 3 mesi (a patto che non sia scelto di posticipare la maternità, come detto poco prima), ai quali vanno comunque aggiunti dei giorni in deroga, nel caso in cui ci fossero, per parto prematuro e precoce. I 3 mesi vanno calcolati, per intenderci, sempre a decorrere dalla data presunta di parto, e non da quella effettiva nel caso in cui si tratti di parto, appunto, precoce. Anche per il post-part l’ASL o la DPL può attribuire dei giorni “bonus”, nel caso in cui la donna sia destinata a mansioni che non sono incompatibili con il suo stato di salute di puerpera.
Dopo la maternità non cessano i diritti
Chi è già stata mamma sa bene che i bisogni del bambino non terminano al terzo mese di età e questo dato è stato raccolto anche dal legislatore, che è riuscito a mettere a disposizione delle neo-mamme, con l’istituto dell’allattamento INPS, un utile strumento per continuare a seguire il proprio piccolo.Ne abbiamo parlato diffusamente in un altro articolo ed è per questo che ricorreremo ad una brevissima sintesi: si tratta di un permesso di 2 ore, su base giornaliera, che è stato pensato per consentire, appunto, l’allattamento.
Può essere richiesto anche dal papà, nel caso in cui la mamma non volesse usufruirne e completa un po’ quello che è il ciclo dei diritti della gestante e neo-mamma.
Che cos’è la maternità facoltativa?
La normativa vigente in Italia prevede anche altri istituti a tutela della maternità. Possiamo infatti individuare un altro gruppo di diritti, che va comunemente sotto il nome di maternità facoltativa, in quanto maturano soltanto in virtù dell’espressa richiesta di uno dei due genitori.Si tratta del diritto di avere a disposizione, oltre i primi 3 mesi di maternità, 6 mesi in totale (da consumare sia in modo continuativo che invece a scaglioni, come si preferisce) per stare lontani dal lavoro e occuparsi del bambino. Può essere richiesto da entrambi i genitori, ma in quel caso non può superare, a seconda dei casi, i 10 o gli 11 mesi.
Successivamente al termine della maternità obbligatoria, che è un’astensione praticamente forzata dal lavoro, le mamme (e i papà) possono dunque scegliere di prolungare il periodo di allontanamento dal lavoro, fino ad un massimo di 6 mesi (e qualcosina in meno nel caso in cui scelga di usufruirne anche il papà).
A quanto ammonta l’indennità?
L’indennità per il congedo parentale facoltativo è sicuramente meno appetibile e interessante di quella riconosciuta per la maternità obbligatoria. Parliamo infatti di un mero 30%, che rende l’istituto, soprattutto secondo le associazioni che si occupano di difesa della maternità, un diritto per quasi soli ricchi, o comunque per chi può permettersi il lusso di rinunciare al 70% dello stipendio.Chi può usufruirne, quando se ne po’ usufrire
Ci sono casi specifici, stabiliti dalla legge, nei quali la durata della maternità facoltativa è alterata:- 7 mesi nel caso in cui la donna sia casalinga e l’unico ad essere titolare di un rapporto di lavoro dipendente sia il marito
- 10 mesi nel caso in cui si tratti di famiglia mono-genitoriale
- 3 anni, nel caso in cui venga fatta richiesta in seguito ad un grave handicap del bambino, che può essere sostituita anche da 2 ore di permesso giornaliero
I permessi per malattia
Secondo le leggi vigenti, fino al compimento del terzo anno di età da parte del bambino, i genitori possono non recarsi a lavoro, alternativamente, producendo semplicemente un certificato medico che attesti il cattivo stato di salute del piccolo.Successivamente, nella fascia di età che va dai 3 agli 8 anni, sono concessi esclusivamente 5 giorni l’anno per genitore. I permessi così ottenuti non vengono retribuiti, anche se ovviamente non possono dare luogo ad azione disciplinare nei vostri confronti.
Il congedo parentale: un problema per la produttività nazionale
Sì, davanti alla maternità sembrerà un po’ becero farsi i conti in tasca, ma è così che ha pensato il legislatore ed è dunque così che dobbiamo, per dovere di cronaca, riportarvi.Per arginare il fenomeno del congedo parentale, la Repubblica Italiana mette a disposizione un trattamento economico integrativo di 600 euro (qui la guida: Voucher Baby Sitter INPS), il cui utilizzo è però vincolato al pagamento o di baby sitter, oppure di asili nido. L’allontanamento dal lavoro, per le casse dell’INPS, è sicuramente più oneroso, dal momento in cui si deve corrispondere dell’80% del salario, che spesso e volentieri è più alto dei 600 euro di bonus forniti per pagare le baby sitter.
Questa possibilità inoltre, al contrario di quanto avviene per la maternità obbligata, è aperta anche alle mamme che sono iscritte alla gestione separata dell’INPS. Questo vale ovviamente per chi non è iscritto ad una particolare cassa previdenziale, all’interno delle quali sono previsti trattamenti per la maternità da individuare caso per caso.
Il jobs act “regala” la maternità anche alle parasubordinate
Il Jobs Act, un po’ maliziosamente anche perché ha tentato l’ennesima normalizzazione del lavoro parasubordinato in Italia, si è preoccupato di garantire la maternità anche alle lavoratrici di questo particolare segmento del mercato del lavoro e questo è valido anche per i casi in cui il datore di lavoro non si sia preoccupato di versare i contributi.Si tratta di una situazione che purtroppo colpisce moltissime donne nel nostro paese, e che rende ancor più difficile, se fosse possibile, pianificare una gravidanza per le giovani coppie. Le garanzie, come avete potuto vedere da questo articolo, ci sono, basta conoscere i propri diritti!