Uno degli effetti più importanti del costituzionalismo è sicuramente quello di aver dato una certa stabilità allo Stato. Ciò però non si traduce in eterna immutabilità: le Costituzioni si possono riformare, sebbene entro i limiti e nei modi che molto spesso esse stesse prevedono.
Come funziona la revisione costituzionale? Lo proviamo ad approfondire in questo articolo che arricchisce la nostra sezione di diritto pubblico. In Paesi relativamente giovani come l’Italia e la Germania, la Costituzione nasce da un patto costituente fra alcune forze accordatesi nell’interesse della nazione. In Italia, la lotta al fascismo fu il fondamento storico ed il collante che vide i partiti politici trovare l’intesa nell’Assemblea Costituente, con la previsione di una base di valori comuni solida da non intaccare facilmente, sfruttando le fluttuazioni elettorali.
Il fenomeno si sviluppa in maniera diversa a seconda che la costituzione sia rigida o flessibile. Nel primo caso la revisione non ha limiti e, anzi, la Carta stessa non prevede un regolamento specifico. Non esiste, inoltre, alcuna forma di controllo giudiziario circa la rispondenza delle leggi rispetto alla stessa Costituzione. Un esempio sotto questo punto di vista è stato lo Statuto Albertino ma anche, a certe condizioni, la Costituzione inglese.
Nelle costituzioni rigide, invece, la revisione è sottoposta sia a limiti procedurali sia a limiti sostanziali di tempo, di circostanza e di contenuto. E tali costituzioni sono molto spesso “lunghe”, in contrapposizioni alle precedenti che erano “brevi, perché non si limitano a disciplinare le regole generali dell’esercizio del potere pubblico e della produzione delle leggi, ma contengono principi e anche disposizioni analitiche che riguardano le materie più disparate, dal credito al risparmio, dall’ambiente alla famiglia.
A tenore della norma in esame, la prima deliberazione è a maggioranza relativa: è sufficiente che i “si” superino i “no” in entrambi i rami del Parlamento. Per potersi effettuare la seconda votazione, inoltre, è necessario che siano trascorsi tre mesi dalla prima. I regolamenti di Camera e Senato, inoltre, vietano che i testi precedentemente approvati siano emendati, al fine di evitare che la procedura debba ricominciare da capo: le navette sulla riforma della Costituzione vengono così, scongiurate.
Nella seconda approvazione, comunque, si manifestano due strade fra loro alternative. Se la riforma ottiene il “si” della maggioranza qualificata dei due terzi delle Assemblee, è necessaria soltanto la promulgazione da parte del Capo dello Stato con la conseguente pubblicazione in Gazzetta Ufficiale. Se, invece, la legge viene approvata soltanto con la maggioranza assoluta, allora, il testo viene pubblicato in Gazzetta ai fini della pubblicità ma non si ha l’approvazione definitiva: entro tre mesi, infatti, può essere chiesto il referendum.
Il Costituente ha posto in essere una procedura molto complessa manifestando grande saggezza. La revisione costituzionale, infatti, è un passaggio di estrema importanza che necessita di un ampio consenso in Parlamento. Tuttavia in linea di principio non è impedita l’iniziativa alle maggioranze, fermo restando però che le opposizioni hanno diritto di chiedere il voto popolare, essendo in ogni caso la sovranità appartenente al popolo ai sensi dell’art. 1 della Carta.
Come negli altri Paesi che abbiamo analizzato, anche in Italia ci sono alcuni aspetti costituzionali non soggetti a revisione. L’art. 139 è molto chiaro nel dire che «la forma repubblicana non può essere oggetto di revisione costituzionale». Sul punto si sottolinea il carattere dichiarativo della norma, dato che la Repubblica è una scelta fatta, prima della Costituzione stessa, dal popolo nel Referendum del 2 giugno 1946.
Come funziona la revisione costituzionale? Lo proviamo ad approfondire in questo articolo che arricchisce la nostra sezione di diritto pubblico. In Paesi relativamente giovani come l’Italia e la Germania, la Costituzione nasce da un patto costituente fra alcune forze accordatesi nell’interesse della nazione. In Italia, la lotta al fascismo fu il fondamento storico ed il collante che vide i partiti politici trovare l’intesa nell’Assemblea Costituente, con la previsione di una base di valori comuni solida da non intaccare facilmente, sfruttando le fluttuazioni elettorali.
Il fenomeno si sviluppa in maniera diversa a seconda che la costituzione sia rigida o flessibile. Nel primo caso la revisione non ha limiti e, anzi, la Carta stessa non prevede un regolamento specifico. Non esiste, inoltre, alcuna forma di controllo giudiziario circa la rispondenza delle leggi rispetto alla stessa Costituzione. Un esempio sotto questo punto di vista è stato lo Statuto Albertino ma anche, a certe condizioni, la Costituzione inglese.
Nelle costituzioni rigide, invece, la revisione è sottoposta sia a limiti procedurali sia a limiti sostanziali di tempo, di circostanza e di contenuto. E tali costituzioni sono molto spesso “lunghe”, in contrapposizioni alle precedenti che erano “brevi, perché non si limitano a disciplinare le regole generali dell’esercizio del potere pubblico e della produzione delle leggi, ma contengono principi e anche disposizioni analitiche che riguardano le materie più disparate, dal credito al risparmio, dall’ambiente alla famiglia.
Revisione costituzionale in Italia
Per modificare la Costituzione italiana o approvare nuove leggi costituzionali che la integrino la Carta prevede un apposito procedimento disciplinato dall’articolo 138. Si tratta di un procedimento aggravato rispetto a quello ordinario, per il quale è sufficiente soltanto una deliberazione a maggioranza relativa delle due Camere. La revisione costituzionale, invece, è sottoposta a doppia approvazione con referendum eventuale. Nonostante alcuni tentativi più o meno dichiarati di sovvertire il quadro tracciato dal Costituente, l’articolo 138 resta ancora un baluardo per la democrazia che salvaguarda la Carta da improvvisi “colpi di mano”.A tenore della norma in esame, la prima deliberazione è a maggioranza relativa: è sufficiente che i “si” superino i “no” in entrambi i rami del Parlamento. Per potersi effettuare la seconda votazione, inoltre, è necessario che siano trascorsi tre mesi dalla prima. I regolamenti di Camera e Senato, inoltre, vietano che i testi precedentemente approvati siano emendati, al fine di evitare che la procedura debba ricominciare da capo: le navette sulla riforma della Costituzione vengono così, scongiurate.
Nella seconda approvazione, comunque, si manifestano due strade fra loro alternative. Se la riforma ottiene il “si” della maggioranza qualificata dei due terzi delle Assemblee, è necessaria soltanto la promulgazione da parte del Capo dello Stato con la conseguente pubblicazione in Gazzetta Ufficiale. Se, invece, la legge viene approvata soltanto con la maggioranza assoluta, allora, il testo viene pubblicato in Gazzetta ai fini della pubblicità ma non si ha l’approvazione definitiva: entro tre mesi, infatti, può essere chiesto il referendum.
Chi può chiedere il referendum costituzionale?
Titolari del diritto di proporre l’istanza sono: 500 mila elettori, cinque consigli regionali, un quinto dei membri di uno dei rami del Parlamento, cioè la minoranza politica che molto probabilmente si è pronunciata a sfavore ai tempi dell’approvazione. Per la consultazione referendaria è necessario che i voti favorevoli superino quelli sfavorevoli affinché la legge possa essere promulgata: non è necessario, in questa ipotesi, il raggiungimento di alcun quorum minimo di votanti.Il Costituente ha posto in essere una procedura molto complessa manifestando grande saggezza. La revisione costituzionale, infatti, è un passaggio di estrema importanza che necessita di un ampio consenso in Parlamento. Tuttavia in linea di principio non è impedita l’iniziativa alle maggioranze, fermo restando però che le opposizioni hanno diritto di chiedere il voto popolare, essendo in ogni caso la sovranità appartenente al popolo ai sensi dell’art. 1 della Carta.
Come negli altri Paesi che abbiamo analizzato, anche in Italia ci sono alcuni aspetti costituzionali non soggetti a revisione. L’art. 139 è molto chiaro nel dire che «la forma repubblicana non può essere oggetto di revisione costituzionale». Sul punto si sottolinea il carattere dichiarativo della norma, dato che la Repubblica è una scelta fatta, prima della Costituzione stessa, dal popolo nel Referendum del 2 giugno 1946.
La norma è lapidaria e, pertanto, si è prestata a diverse interpretazioni estensive. Nel termine “forma repubblicana”, infatti, la dottrina fa rientrare anche il carattere elettivo e non ereditario del Capo dello Stato e il principio di sovranità popolare di cui l’elezione del Presidente della Repubblica è soltanto un’applicazione. Per questo ragione l’art. 139 va letto in combinato disposto con l’art. 1 in quanto la forma repubblicana è ritenuta inscindibile dal carattere democratico della Repubblica e dall’appartenenza della sovranità al popolo.
Ulteriore interpretazione estensiva vuole includere nei limiti alla revisione l’art. 2 Cost. che dichiara «inviolabili» i diritti dell’uomo, e l’art. 5 il quale afferma che la Repubblica è «una e indivisibile». La Corte Costituzionale ha accolto questa tesi, individuando una serie di «principi supremi» che sarebbero esenti da qualsiasi revisione costituzionale.
Ulteriore interpretazione estensiva vuole includere nei limiti alla revisione l’art. 2 Cost. che dichiara «inviolabili» i diritti dell’uomo, e l’art. 5 il quale afferma che la Repubblica è «una e indivisibile». La Corte Costituzionale ha accolto questa tesi, individuando una serie di «principi supremi» che sarebbero esenti da qualsiasi revisione costituzionale.