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Coltivazioni redditizie: idee per investire in agricoltura

Tutti gli amanti del giardinaggio avranno pensato almeno una volta nella vita di trasformare la propria passione in un’attività redditizia. In questo articolo vogliamo darvi qualche dritta per aiutarvi a scegliere i prodotti più idonei ad avviare un’attività legata alla coltivazione. In primo luogo bisogna analizzare le caratteristiche proprie del terreno che ci si appresta a coltivare: le possibilità di intraprendere una coltivazione redditizia sono infatti legate al terreno e alle sue caratteristiche, come la sua ubicazione, le sue componenti chimico-fisiche, l’esposizione alle condizioni climatiche e infine l’accessibilità ai macchinari agricoli e la possibilità di irrigazione. Il terreno a nostra disposizione può essere argilloso o sabbioso, il clima umido o secco, la zona può essere montuosa o costiera. Oltre a questi dati, è fondamentale considerare l’estensione dell’appezzamento: ci sono colture che sono redditizie anche in pochi metri quadri, altre necessitano di diversi ettari. Anche la pendenza del terreno e l’accesso ai macchinari agricoli devono essere presi in considerazione. Dopo questa breve premessa ora passiamo ad analizzare alcuni prodotti che possono diventare i protagonisti della nostra coltivazione.

Dedicarsi all'agricoltura postula la necessità di aprire un'azienda agricola se il business viene svolto professionalmente. La guida che abbiamo appena linkato può aiutarvi nell'affrontare gli aspetti economici e burocratici più importanti: passiamo ora alla parte che ci interessa di più in questa sede in cui siamo chiamati ad elencare idee per le migliori coltivazioni redditizie.

Coltivazioni redditizie: “idee classiche”

Ci sono molte idee d’impresa che possono essere realizzate su un terreno agricolo. Non ci soffermiamo sui prodotti più conosciuti (frutta e verdura o cereali), ma analizziamo quelli più originali.
Uno dei vanti dell’Italia è la coltivazione degli ulivi: si tratta di un’attività molto invidiata dagli altri paesi produttori di olio. L’ulivo è una pianta resistente che si adatta a diversi climi, tuttavia la qualità e la redditività delle olive possono variare moltissimo di anno in anno. Se si decide di intraprendere questa strada bisogna ricordarsi che per ottenere le prime produzioni si deve attendere per circa 7 anni. Naturalmente il terreno e le sue caratteristiche rivestono un’importanza fondamentale nelle piantagioni di ulivi. In alcune regioni, è bene ricordarlo, ci sono stati problemi piuttosto significativi negli ultimi anni legati soprattutto alla xylella che, soprattutto in Puglia, ha prodotto danni enormi.

Un altro tipo di coltivazione interessante da considerare è quello legato alla produzione ditartufi: tuberi molto pregiati che vengono coltivati in zone con caratteristiche specifiche, in quanto il tartufo vive in simbiosi con determinate piante (come il nocciolo). Per avviare una tartuficoltura è quindi necessario trovarsi in un territorio idoneo. 

Sempre rimanendo sul "classico", altro  esempio di coltivazione redditizia riguarda i funghi: tale attività agricola viene realizzata all’interno di strutture artificiali e dunque il terreno sfruttato è un compost speciale, per questo è fondamentale essere sicuri di avere un adeguato supporto di acqua ed elettricità. 

L’acqua e l’irrigazione sono essenziali anche per la coltura di frutti di bosco, coltivabili in molte zone collinari dell’Italia. L’habitat naturale è quello del sottobosco, per cui i terreni ideali devono essere molto umidi. Le condizioni climatiche italiane sono ottime per questa coltivazione, in quanto presentano la giusta escursione termica, la corretta esposizione solare e la piovosità necessaria a far nascere ottimi mirtilli, lamponi, more e fragoline. I frutti di bosco necessitano di molta acqua e pertanto l’accessibilità all’acqua è un elemento essenziale da valutare nella scelta dell’ubicazione del campo. Tra le coltivazioni di prodotti della terra che stanno prendendo piede nel Belpaese spiccano lo zafferano e il bambù. Scopriamo qualcosa di più su queste coltivazioni tanto amate.

Coltivazioni redditizie: lo zafferano

Lo zafferano, o crocussativus, è una pianta bulbosa caratterizzata da un bulbo di circa 4/5 cm su cui si trovano le gemme da cui si sviluppano sia nuovi bulbi che fiori e foglie. I fiori sono composti da sei petali, nei cui stimmi si trova lo zafferano che viene poi adoperato in cucina: è proprio per questa spezia che la piantina sta iniziando ad essere guardata con sempre maggiore interesse da chi desidera avviare un’attività agricola o una coltivazione redditizia. Lo zafferano viene coltivato soprattutto in Iran e in India, ma anche in Italia è coltivabile, in quanto la pianta resiste bene sia alle temperature rigide dell’inverno che a quelle più torride dei periodi estivi. Per quanto riguarda il terreno di coltivazione, lo zafferano si può coltivare sia in terra piena che nei vasi: nel primo caso è richiesta un’aratura che lasci dei solchi di 35/40 cm; in seguito alla fase dell’aratura, da effettuare con una vanga, il terreno va lasciato riposare fino a settembre (al Nord) o fino a luglio/agosto (al Sud). Dopodiché i tuberi vanno sotterrati a circa 10/15 cm di profondità, distanti l’uno dall’altro di 10 cm circa. In vaso, invece, i bulbi vanno piantati lasciando almeno 5 cm di distanza l’uno dall’altro e a 5/10 cm di profondità. L’esposizione al sole per questa coltivazione è fondamentale: i bulbi devono essere esposti ala luce, mentre va evitato il ristagno di acqua (specialmente nei sottovasi). La piantina non è adatta a grandi quantità di acqua, l’umidità eccessiva la danneggia, quindi occhio all’irrigazione e al tipo di terreno, che deve essere drenato e sabbioso: si consiglia di evitare la terra argillosa, poiché molto umida. Anche le erbe infestanti sono molto pericolose: esse vanno eliminate manualmente, evitando diserbanti nocivi che possono essere ancora più dannosi per la sopravvivenza della piantina. Ulteriori approfondimenti si possono trovare nella nostra guida dedicata alla coltivazione dello zafferano.

Coltivazioni redditizie: il bambù

Un’altra pianta la cui coltivazione sta prendendo piede, sia per usi alimentari, che per l’uso nell’ambito dell’edilizia, che nell’abbigliamento, è il bambù. Cosa bisogna sapere quando si decide di avviare questo tipo di coltivazione? Il bambù si divide in due grandi gruppi che hanno caratteristiche ecologiche di crescita differenti, derivanti dalla modalità di crescita dei suoi rizomi: il primo gruppo ha il rizoma che cresce orizzontalmente a grandi velocità, generando gruppi molto fitti a carattere invasivo, mentre il secondo ha rizomi con crescita più lenta e circolare, tipiche delle zone tropicali.I rizomi sono la parte sotterranea della pianta. Possiamo coltivare queste canne orientali piantando il seme oppure direttamente la pianticella, che è l’opzione più facile. Se, nonostante tutto, volete provare a coltivare il seme, questo va asciugato al sole per un paio di ore e poi immerso in acqua per 12-18 ore, così da garantire la riattivazione: a questo punto lo si può piantare in un vaso con terreno adatto. Le piantine nate possono essere interrate nel terreno dopo circa 3-4 mesi e non prima poiché sono molto delicate e si devono irrobustire.I semi di bambù germogliano in circa 3 settimane. L’impianto può essere effettuato in qualunque momento dell’anno, ma è comunque sconsigliato operare nelle temperature rigide dell’inverno. Il bambù non ha bisogno di applicazioni di pesticidi né di particolari cure idriche: l’irrigazione è limitata al primo anno di età e successivamente la pianta va annaffiata nei periodi di siccità.

Altre idee originali per avviare coltivazioni redditizie

Sinora vi abbiamo dato qualche spunto sulle coltivazioni redditizie legate alla terra e alla coltivazione dei frutti e delle piante. Per restare in tema, possiamo riportare ancora l’esempio di due ditte che hanno avviato la produzione di cosmetici (oltre che liquori) a base di erbe montane: le creme a base di Stella alpina sono molto pregiate e ricercate, così come il nettare di kiwi, altro prodotto italiano che viene esportato in tutto il mondo. In questo paragrafo però vogliamo darvi qualche spunto più originale. Esistono molti modi per sfruttare un terreno agricolo con coltivazioni redditizie: oltre agli esempi sopracitati si possono coltivare cereali, legumi, mais, erbe aromatiche etc. 

Tuttavia vi sono anche quelle che prevedono la “coltivazione” di animali, ad esempio l’apicoltura: ci sia concessa la "licenza", visto che agricoltura e allevamento vanno spesso di pari passo. In Italia la maggioranza del miele viene importato dall’estero per via dei prezzi minori: per questo valorizzare il miele italiano può essere un buon investimento se si riescono ad individuare i filoni di mercato interni e stranieri in cui si ricerca un prodotto di migliore qualità verso il quale ci si può concentrare. Ovviamente la qualità chimica del terreno è trascurabile per un apicoltore, il quale deve invece prestare attenzione alla vicinanza dalle case abitate, alla pendenza,al clima e alle escursione termiche. Come tutti gli esseri viventi le api hanno esigenze ecologiche da rispettare. 

Un altro animale che può essere allevato in un terreno è il lombrico: la lombricoltura è strettamente legata all’agricoltura, in quanto i lombrichi sono anellidi adoperati per aumentare la fertilità del terreno. Questi vermi movimentano la terra ossigenandola e favorendo il normale ciclo naturale del campo, ma bisogna ricordare che sono sensibili al freddo e quindi la coltivazione deve essere situata in zone a livello del mare e collinari. 

Anche le lumache possono essere redditizie: in Sicilia è stato avviato un originale business legato alla produzione di caviale di lumache, per metà francesi e per metà nostrane. In Piemonte, invece, altri hanno avviato un’attività da cui prendere spunto: allevare trote per farvi ragù e il delicato tonno di trota. Sempre nella stessa regione vengono allevati struzzi: l’allevamento è originale e redditizio poiché la loro carne è quasi priva di colesterolo mentre le piume e la pelle possono essere ottimo materiale per accessori di moda. 

Conclusioni

Le idee per avviare attività redditizie basate sulla coltivazione o sull'allevamento possono essere davvero tante, dalle più conosciute (frutta e verdura) a quelle meno immediate (frutti di bosco, kiwi, miele, funghi…) e infine a quelle basate sull’allevamento di animali non legati alle attività da fattoria (struzzi, lombrichi, trote). Non vi resta che cercare l’attività che più vi interessa e valutare se iniziare questa nuova avventura.

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Successione testamentaria: quote e normativa

A molti sarà capitato di trovarsi davanti ad un notaio per l’apertura o la redazione di un testamento. I dubbi sulla successione testamentaria possono essere molti: si può fare ciò che si vuole dei propri beni oppure ci sono delle quote che vanno rispettate e lasciate a soggetti specifici? Qual è la normativa di riferimento? Come si effettua il calcolo delle quote? Vediamo di analizzare insieme la disciplina della volontà testamentaria, definendo innanzitutto il fondamento della successione testamentaria: la ratio si può individuare nella tutela del diritto di proprietà individuale, ossia nell’interesse del singolo a trasmettere i propri beni a terzi, regolando i propri interessi nel periodo successivo al decesso. In qualche modo l'istituto si contrappone alla successione legittima in cui, in assenza di testamento, è la legge soltanto a disciplinare le vicende future dei beni e dei diritti del de cuius.

Ma cos’è il testamento? Si tratta di un atto unilaterale legato alla morte di un soggetto, il quale stabilisce cosa ne sarà del suo patrimonio. L’atto è quindi postumo e poiché produce effetti a seguito del decesso, colui che ha redatto il documento non potrà più chiarire la sua volontà nel caso in cui sorgessero dubbi o imprecisioni: per questo la legge prescrive delle norme volte a garantire la libertà e il rispetto della volontà testamentaria. Il testamento, secondo la legge, è un negozio tipico, poiché è disciplinato dall’ordinamento, è unipersonale (scritto da un’unica persona), personalissimo (non si può delegare la volontà testamentaria), formale o solenne (perché per essere valido va stipulato nelle forme previste dalla legge stessa) e infine è revocabile: approfondiamo questi aspetti.

I principi del testamento

Le norme di legge sulla volontà testamentaria si basano su principi specifici, ad esempio quello della certezza della volontà testamentaria, la quale deve essere certa ed inequivocabile (articolo 628 del codice civile): tale articolo stabilisce che è considerata nulla ogni disposizione a favore di una persona che non può essere individuata con certezza. 

Il secondo principio su cui si fonda la disciplina in questione è il principio di personalità, per cui solo il testatore può formulare la propria volontà testamentaria, senza possibilità di delega o sostituzione. Quindi vi è il principio del formalismo, che vuole stabilire le forme di espressione della volontà testamentaria, volontà che è valida soltanto se espressa nei modi esplicitamente stabiliti per legge.

Infine vi è il principio di revocabilità, ossia il testatore in qualunque momento può revocare le proprie disposizioni.

Le quote della successione testamentaria

Nella successione testamentaria il legislatore ha previsto che una determinata quota di eredità, definita quota di riserva, sia destinata a soggetti specifici, i cosiddetti legittimari: si tratta del coniuge, dei figli e degli ascendenti, (questo caso se non vi fossero figli). Il testatore non può decidere come dividere le quote da destinare a questi soggetti, né può privarli dell’eredità, poiché, appunto, la legge prevede che essi ereditino una percentuale predefinita. Questa quota è indisponibile al de cuius, mentre un’altra quota e disponibile alla volontà dello stesso. Naturalmente perché il testatore possa disporre di questa quota stabilendo a chi indirizzarla è necessario che egli sia in grado di redigere testamento. Il legislatore dispone che possono disporre per testamento tutti coloro che non sono stati dichiarati incapaci dalla legge. Prima di analizzare chi sono questi ultimi, scopriamo qualcosa di più sulle quote di successione.

Quote nella successione testamentaria

Come abbiamo anticipato, il patrimonio ereditario può essere distinto in due parti: la prima consiste nella quota disponibile, della quale il testatore è libero di disporre; la seconda è la quota di legittima (o di riserva), di cui il testatore non può disporre a favore degli eredi legittimi o estranei perché spettante, per legge, a soggetti specifici (legittimari) legati al de cuius da rapporti di parentela o da un rapporto di coniugio: come abbiamo anticipato nel paragrafo precedente si tratta di coniuge, figli e ascendenti. Il motivo di questa indisponibilità della quota di legittima è che il legislatore ha voluto consentire a determinati soggetti di ricevere una quota minima del patrimonio del testatore: per questo ad essi è stato riconosciuto il titolo ereditario di legittimari. Come si suddividono le quote tra questi soggetti?

Come calcolare la quota legittima

La quota del legittimario è calcolata in base al rapporto tra la quota riservata del legittimario ai sensi dell’art. 537 del codice civile e la massa ereditaria, che va calcolata ai sensi dell’art. 556 del codice civile. 
Questo articolo afferma che, al fine di determinare la quota disponibile, si deve creare una “massa di tutti i beni che appartenevano al defunto al tempo della morte, detraendone i debiti. Si riuniscono quindi fittiziamente i beni di cui sia stato disposto a titolo di donazione secondo il loro valore determinato in base alle regole dettato negli articoli da 747 a 750 e, sull’asse così formato, si calcola la quota di cui il defunto poteva disporre". 
Vediamo insieme le differenti combinazioni di ipotesi inerenti le quote di legittima e di disponibile.
  • Al coniuge superstite, in mancanza di figli e senza ascendenti, spetta il 50% di eredità più il diritto abitazione. La quota disponibile è pari al 50% dell’eredità; 
  • Nel caso di un coniuge e di un figlio unico, anche naturale (ossia nato fuori dal matrimonio) e indipendentemente dagli ascendenti in vita, al marito/moglie spetta il 33,33% di eredità sommato al diritto di abitazione, mentre al figlio spetta la stessa quota (33,33% eredità). La quota disponibile ammonta al 33,33% dell’eredità;
  • Nel caso di coniuge rimasto con due o più figli, al primo spettano il 25% eredità e il diritto di abitazione. Ai figli spetta il 50% eredità da dividere in parti uguali. La percentuale della quota disponibile è del 25%;
  • Se il defunto lascia un coniuge senza figli, ma vi sono ascendenti in vita, al primo spetta il diritto di abitazione e il 50% di eredità, ai secondi spetta il 25% di eredità da dividere in parti uguali. La quota disponibile è del 25%;
  • Se vi fosse soltanto un figlio unico orfano anche dell’altro genitore, indipendentemente da eventuali ascendenti in vita, ad esso spetta il 50% di eredità, l’altra metà è disponibile alla volontà del de cuius;
  • Se rimangono due o più figli senza coniuge del defunto, i figli si dividono in parti uguali il 66,66% dell’eredità, la quota disponibile è del 33,33%;
  • Se vi sono esclusivamente ascendente/i senza coniuge, nè figli, questi ereditano il 33,33%, mentre la quota disponibile è del 66,66%;
  • Infine, se non vi sono figli né ascendenti l’intera eredità costituisce quota disponibile. 

Successione testamentaria e incapacità

Sono identificati come incapaci di redigere testamento innanzitutto i soggetti minori di età.

Incapaci sono anche coloro che sono stati interdetti per infermità mentale: questi soggetti, però, diventano legalmente incapaci solamente al momento della pubblicazione della sentenza ai sensi dell’art. 421 del codice civile: la conseguenza è che il testamento (redatto anche durante la fase di giudizio sull’incapacità) resta valido salvo venga dimostrata l’incapacità di intendere e di volere al momento della redazione dell’atto di successione testamentaria. 

Infine, sono da ritenersi incapaci i soggetti che, sebbene non interdetti, siano considerati incapaci di intendere e volere al momento della scrittura dell’atto, ad esempio perché in stato di ubriachezza o sotto l’effetto di droghe. In tal caso esibire elementi che facciano ritenere il testatore incapace è un’azione a carico di chi intende dimostrare l’incapacità del testatore. Image may be NSFW.
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La giurisprudenza si è spesso pronunciata in materia di incapacità di intendere e volere del testatore. La sentenza numero 24881 del 06 novembre del 2013 ha sottolineato che ai fini dell’annullamento di un testamento per incapacità del testatore è necessario fornire la prova che l’infermità abbia privato in modo totalizzante il soggetto redattore del documento, rendendolo incapace di comprendere le proprie azioni. Uno dei paradossi in tema di incapaci riguarda il caso del minore emancipato, il quale ha facoltà di sposarsi ma non quella di redigere il testamento. 

Tutti possono ricevere per testamento?

Concludiamo questa trattazione con l’elenco di coloro che non possono ricevere per testamento: il legislatore ha elencato tra di essi il tutore ed il protutore, il notaio, i testimoni e l’interprete nel caso di testamento pubblico, del soggetto che ha redatto o ha ricevuto il testamento segreto, anche se fatte per interposta persona.

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Agevolazioni fiscali risparmio energetico 2016: proroga Ecobonus, guida alle detrazioni

Quali sono le agevolazioni fiscali per il risparmio energetico nel 2016? Andiamo a vedere se c’è la possibilità di usufruire di detrazioniimportanti per capire come risparmiare soldi ed energia sulla nostra abitazione. La  Legge di Stabilità presentata dal governo Renzi ha consentito ancora di godere dei benefici del fisco: per il futuro, infatti, la detrazione Irpef attualmente prevista calerà sensibilmente anche se da diversi anni assistiamo a delle proroghe. In cosa consiste l’agevolazione per il risparmio di energia? Cerchiamo di capirlo insieme.

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Guida alle agevolazioni fiscali risparmio energetico 2016: detrazioni al 65%

Il 2016, alla luce della Legge di Stabilità  approvata dal Parlamento, sarà l’ultimo anno in cui si potrà detrarre il 65% delle spese sostenute per il risparmio di energia: la somma detraibile deve essere ammortizzata per dieci anni. In pratica se oggi ho diritto a detrarre 10 mila euro, potrò pagare meno imposte per 10 anni sottraendo ogni anno 1000 euro all’irpef da versare. La legge però fissa dei tetti massimi che si possono detrarre: oltre quelle somme bisogna pagare di tasca propria. La tabella sottostante riporta gli interventi e la detrazione massima di cui si può usufruire.
Detrazione massima per tipo di intervento
Tipologia di intervento
Detrazione fiscale massima
riqualificazione energetica degli edifici esistenti
100.000 euro
involucro edifici (per esempio, pareti, finestre - compresi gli infissi - su edifici esistenti)
60.000 euro
installazione di pannelli solari
60.000 euro
sostituzione degli impianti di climatizzazione invernale
30.000 euro
acquisto e posa in opera delle schermature solari elencate nell’allegato M del decreto legislativo n. 311/2006 (soltanto per l’anno 2015)
60.000 euro
acquisto e posa in opera di impianti di climatizzazione invernale dotati di generatori di calore alimentati da biomasse combustibili
30.000 euro

La condizione indispensabile affinchè si possa usufruire della detrazione fiscale in esame  è che gli interventi vengano eseguiti su unità immobiliari e su edifici (o anche su parti di edifici) che siano già esistenti, di qualsiasi categoria catastale, anche se rurali, compresi quelli classificati come strumentali rispetto ad esempio all’attività d’impresa o professionale che si svolge. Attenzione, per quanto riguarda i pannelli solari bisogna far riferimento soltanto al solare termico: come abbiamo scritto negli approfondimenti suggeriti in apertura di questo articolo, non ci sono più agevolazioni per i pannelli fotovoltaici che producono energia elettrica: essi possono rientrare però negli interventi di ristrutturazione edilizia. Anche tale maxi detrazione, oggi fissata al 50%, sarà valida fino al 31 dicembre 2016: in seguito, salvo modifiche, il beneficio scenderà al 36%.
Leggi anche: Conviene comprare casa oggi nel 2015? Come investire nel mattone senza mutuo - Come funziona l'affitto con riscatto?

Agevolazioni fiscali risparmio energetico 2016: ecco perchè pensare al solare termico adesso

Quando si pensa agli incentivi fiscali per il risparmio di energiaviene in mente sicuramente il fotovoltaico. Abbiamo dedicato due guide al tema: in questa sede, indicato quanto si può effettivamente detrarre, ci preme dire è ancora tempo per pensare al solare termico. Se si dispone del denaro necessario per fare l’investimento (noi suggeriamo di evitare sempre prestiti, specie quando si acquistano beni che servono per risparmiare soldi: perché dare alle banche quanto si risparmia?) ci si può veramente proporre l'obiettivo di fare uno sforzo.

Nel corso del 2015 era sembrato che non arrivasse la proroga alle detrazioni mentre, poi, la Legge di Stabilità presentata dal governo Renzi è andata in senso opposto, ammiccando ancora a chi attendeva novità da questo settore. Seguiremo, comunque, l'iter parlamentare della manovra per avere meglio idea di quello che verrà nel 2016. Tra le varie novità che entreranno nel nostro ordinamento segnaliamo il bonus mobili 2016 per giovani coppie che prescinderà dalle ristrutturazioni e sarà riservato a tutti coloro che acquisteranno un appartamento da usare come abitazione principale. Insomma, il tempo sembra essere positivo per darsi una rinnovata: il fisco, almeno sotto questo punto di vista, sembra voler dare una mano.



Sfratto per morosità: tempi e procedura

Lo sfratto per morosità è uno degli strumenti che consente a chi ha affittato un proprio immobile di essere reintegrato nel possesso dello stesso a causa del persistente mancato pagamento dei canoni da corrispondere. Si tratta di una procedura che affianca quella di rito ordinario e che è sensibilmente più rapida di quest’ultima. Tramite lo sfratto per morosità si riesce infatti, nel caso in cui la causa sia fondata, a rientrare in possesso del proprio immobile in tempi decisamente brevi.

Quali sono i presupposti per chiedere lo sfratto per morosità?

Ci sono ovviamente dei requisiti stabiliti dalla legge e dalla giurisprudenza per avviare una procedura di sfratto per morosità:
  • deve esserci un regolare contratto di locazione, ad uso che sia abitativo oppure commerciale. Non si può intraprendere la procedura di sfratto per morosità se semplicemente l’accordo tra le due parti è verbale e non risponde a quanto previsto in materia di disciplina dei contratti di locazione (su questo specifico punto è intervenuto il Tribunale di Roma 1/10/2014);
  • bisogna che il mancato pagamento del canone sia nella misura di quanto stabilito dall’articolo 5 della legge n. 392/1978 (la celeberrima legge equo canone). Una mensilità, trascorsi 20 giorni dal termine in cui era dovuta, oppure per le spese accessorie (pensiamo a quelle del condominio) solo se queste superano, complessivamente, le due mensilità. La seconda possibilità opera però soltanto per i contratti di locazione che hanno per oggetto un immobile di tipo abitativo.

Chi è legittimato alla procedura?

Entrambe le parti del rapporto di locazione sono legittimate alla procedura di sfratto per morosità.
Il locatore, o i suoi eredi o anche il legatario o il comproprietario, possono agire, a patto che gli altri comproprietari non dimostrino il proprio dissenso.

Il conduttore invece è legittimato passivo: nel caso in cui siano più di uno, sussiste tra di loro il litisconsorzio, così come stabilito dalla sentenza della Cassazione n. 6504/1984.

Il tribunale di competenza

Seguendo quanto riportato dal l’articolo 661 del Codice di Procedura Civile, per la procedura di sfratto per morosità è competente il tribunale dove si trova l’immobile affittato. La competenza è di tipo funzionale e non può essere derogata.

Come funziona lo sfratto per morosità?

La procedura che porta allo sfratto per morosità si apre, in genere, con una lettera di diffida da parte del locatore, nel caso in cui persistano condizioni di morosità da parte dell’inquilino. La lettera di diffida viene spedita con raccomandata A/R (servendo poi come prova il ricevimento della stessa). Con la lettera di diffida in questione si sollecita da un lato il pagamento dei canoni arretrati e dall’altro lato invece si invita a liberare l’immobile oggetto del contratto di locazione entro una data stabilita, minacciando di adire in caso contrario le vie legali.

Nel caso in cui la diffida dovesse rimanere letta morta, il locatore procede dunque all’atto di intimazione di sfratto per morosità, al quale deve essere accompagnata contestualmente una citazione in udienza, insieme ad un’ingiunzione di pagamento per i canoni scaduti. Il giudice si preoccuperà dunque di emettere decreto ingiuntivo. Successivamente si arriva a quella che è la causa di convalida, dove si prospettano tre possibilità:
  • nel caso in cui l’inquilino si presentasse e facesse opposizione alla convalida, il giudice potrebbe rinviare il caso al giudizio ordinario, che valuterà le motivazioni dell’opposizione per poi decidere se sia il caso o meno di reintegrare nel possesso il proprietario;
  • il conduttore può anche presentarsi e saldare la morosità, oppure chiedere il termine di grazia. Il termine di grazia, così come riportato dall’art. 55 della legge n. 392/1978, non può superare i 90 giorni dalla data dell’udienza della convalida. Si tratta però di una possibilità che viene accordata in via esclusiva ai conduttori di contratti di locazione ad uso abitativo. Nel caso in cui inoltre si tratti di una morosità incolpevole, il conduttore può richiedere di accedere al fondo speciale preposto a questi scopi ed evitare lo sfratto;
  • il conduttore potrebbe anche non presentarsi, oppure presentarsi e non fare opposizione. In questo caso il giudice, verificati i presupposti e verificata anche la presenza effettiva della morosità persistente, emette un’udienza di convalida di sfratto, indicando anche la data entro la quale verrà ottenuta la liberazione forzosa dell’immobile per mezzo degli ufficiali giudiziari.
L’ordinanza di convalida, una volta emessa, è titolo esecutivo per il rilascio. Successivamente alla notifica dell’atto di precetto e decorso un termine di almeno 10 giorni, si può procedere, nel caso in cui l’immobile non fosse stato ancora liberato, alla monitoria di sgombero: si tratta di un’esecuzione forzata da parte di un ufficiale giudiziario che si reca personalmente nell’immobile indicato sul contratto per eseguire lo sfratto. Nel caso sia necessario può essere coinvolta anche la forza pubblica.
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I costi dello sfratto per morosità e i tempi

Lo sfratto per morosità ha comunque costi che vanno valutati prima di procedere, soprattutto nel caso in cui la morosità fosse non persistente e dunque potessero poi venire a mancare i presupposti dell’azione stessa.

Secondo alcuni studi di settore la procedura, comunque in modo congruente con il valore dell’immobile, può avere un costo che parte dai 6–700€ per i professionisti più economici, fino a poter superare anche i 10.000€ per immobili di pregio e per procedure che dovessero allungarsi più del dovuto.

La procedura dura dai 3 mesi, per i tribunali più efficienti del paese, fino a potersi protrarre anche oltre l’anno, per i tribunali che hanno in genere più pratiche da sbrigare. Si tratta comunque di tempi più brevi e di costi più contenuti rispetto a quelli che saremmo costretti ad affrontare con un rito ordinario.

Nel caso in cui i presupposti fossero dunque certi, la procedura di sfratto per morosità è sicuramente più indicata del rito ordinario, sia se il nostro scopo sia quello di riscuotere i canoni non pagati, sia nel caso in cui invece sia nostra premura e urgenza semplicemente rientrare in possesso del nostro immobile.

Quello dello sfratto per morosità, almeno secondo le associazioni che raccolgono gli umori di chi affitta i propri immobili, è un po’ il simbolo della scarsa tutela che il codice accorda ai proprietari. I tempi, almeno se paragonati a quelli del resto dell’Europa, sono piuttosto lunghi e spesso costringono il proprietario a spese legali che sono piuttosto salate, soprattutto per le procedure che per rinvii ed opposizioni tendono ad allungarsi.

Fatture Telepass: detrazione, controllo e tariffe

Il telepassè uno strumento estremamente utile alle aziende che hanno uno o più agenti che utilizzano di frequente la rete autostradale. Si tratta infatti di un servizio che permette l’entrata e l’uscita dalla rete autostradale in modo automatico, così come è automatico anche il pagamento delle tariffe. Per funzionare utilizza un dispositivo elettronico in grado di comunicare con il casello autostradale, che permette alle sbarre di alzarsi e di segnalare al sistema il vostro casello di entrata e successivamente quello di uscita. Il vantaggio più interessante di Telepass, soprattutto per un’azienda di piccole o medie dimensioni, è che non c’è bisogno di far circolare contanti tra i dipendenti, in quanto il sistema è in grado di fatturare automaticamente l’utilizzo che si fa delle autostrade, per poi mandare fattura direttamente verso la nostra sede. Vediamo insieme cosa c’è da sapere sul calcolo dei costi, sulla fatturazione e sulla detrazione degli stessi e più in generale quello che è necessario conoscere se si utilizza Telepass per i nostri spostamenti personali o aziendali.

Servizio in abbonamento

Il dispositivo per il Telepass non deve essere acquistato, ma viene preso in comodato d’uso da parte del cliente, dato che stando a quanto riportato dal contratto, Telepass S.p.a ne conserva sempre e comunque la proprietà.

Il comodato ha un costo che ammonta a 3.75 euro al mese per il 2016, al quale ovviamente devono essere aggiunti i costi di pedaggio che si andranno a maturare durante tutto il mese.

Controllare i costi online

Ormai da qualche anno si possono tenere sotto controllo i consumi del Telepass anche online, semplicemente raggiungendo la sezione Fattura Online dal sito internet www.telepass.it. Si tratta di un’opportunità estremamente importante, soprattutto nel caso in cui il telepass sia usato non da voi personalmente, ma piuttosto da uno dei vostri dipendenti. Il login avviene tramite registrazione nell’area clienti, inserendo semplicemente il proprio nome, cognome, il codice cliente TELEPASS. Una volta registrati, potremo consultare sia il totale delle spese per il mese in corso che per i mesi precedenti. In aggiunta sarà possibile controllare in dettaglio tutti i viaggi completi.

Ricevere la fattura Telepass cartacea via posta

Per ricevere a casa o in azienda la fattura Telepass, è necessario sottoscrivere il servizio tramite il sito internet o attraverso un qualunque Punto Blu. Il servizio ha un costo di 0,56 euro iva inclusa, che vengono addebitati direttamente nella fattura che andremo a pagare.

Il Punto Blu: il contatto fisico con il servizio TelePass

Non tutto ovviamente avviene online e nel caso ne avessimo bisogno potremo comunque ricevere assistenza da “persone in carne ed ossa”. Su tutto il territorio nazionale sono presenti 120 Punti Blu, dove ci si può fermare per chiedere informazioni, chiedere dettagli sul funzionamento del nostro Telepass, contestare dei costi che ci sono stati addebitati e ogni altro tipo di operazione di questo genere. Nei Punti Blu possiamo inoltre godere dei seguenti servizi:
  • stipulare abbonamento Telepass Family;
  • passare all’opzione Premium, per le aziende che usano Telepass di frequente, che consente di ottenere anche importanti sconti nella ristorazione e nell’assistenza in caso di incidente;
  • Twin: il servizio che permette di avere a disposizione un altro dispositivo;
  • Viacard: il servizio Telepass scontato per chi ha la ViaCard.

L’opzione Telepass ricaricabile

Si può attivare inoltre, e questo è possibile da pochi mesi, il servizio Telepass Ricaricabile, un servizio che permette di avere sotto strettissimo controllo le spese che si vanno a sostenere con il dispositivo. Vi possono accedere tutti i clienti, senza che sia necessario al tempo stesso avere a disposizione un conto corrente bancario o postale da collegare all’account. La versione ricaricabile Telepass non ha costi fissi e si può ricaricare quando si preferisce, senza alcun tipo di vincolo.

Il Telepass ricaricabile può essere collegato a tre vetture in simultanea, mentre per la versione normale i veicoli collegabili sono soltanto 2. Il Telepass ricaricabile è per adesso in fase sperimentale in Campania e Sicilia, costa 49.90 euro e dovrebbe essere disponibile presto, data la positività delle reazioni della clientela, in tutta Italia.

La detrazione delle fatture Telepass

La detrazione delle fatture Telepass funziona come segue:
  • Per i veicoli stradali a motore, che sono in utilizzo promiscuo o non oggetto diretto dell’attività commerciale e/o industriale, abbiamo la detraibilità dell’IVA al 20%;
  • Per i veicoli che sono invece utilizzati in via esclusiva dall’azienda: l’IVA è detraibile al 100%;
  • Per i veicoli che sono oggetto dell’attività, come possono essere taxi o autobus per una compagnia di trasporti, detraibili al 100%.
Allo scopo di detrarre l’IVA è necessario ovviamente presentare fattura. Si può scaricare dal sito www.telepass.it oppure richiedere in forma cartacea in uno qualunque dei Punti Blu diffusi sul territorio nazionale.

Le tariffe di Telepass

Le tariffe di Telepass non sono omogenee sul tutto il territorio nazionale, ma sono invece legate all’autostrada e alla lunghezza del tratto percorso. Non tutte le autostrade d’Italia prevedono pedaggi uguali: il caso è evidente per chi si trova ad utilizzare ad esempio A1 e a24, A24 e A14 di frequente, dato che i pedaggi tra queste due diverse autostrade hanno uno scarto anche del 60% su alcuni tratti. Non esiste dunque un tariffario di riferimento e il pedaggio che sarà dovuto sarà calcolato ogni volta in uscita dall’autostrada.

Si tratta comunque di sistema completamente automatico, che non ha mai causato problemi di sovrafatturazione. Possiamo dunque dormire sonni più che tranquilli e continuare (o cominciare) a utilizzare il nostro Telepass, consci del fatto che potremo sempre controllare la spesa (sia del singolo viaggio, sia totale) dal portale www.telepass.it.

Tegole fotovoltaiche: caratteristiche, prezzi, vantaggi e svantaggi

Le tegole fotovoltaiche per la produzione di energia elettrica nelle abitazioni costituiscono una soluzione sempre più adottata per promuovere l’integrazione architettonica degli impianti fotovoltaici. Il motivo di questa diffusione in crescita è legata all’estetica delle tegole solari rispetto ad altre alternative. I vantaggi delle tegole fotovoltaiche, però, non sono soltanto riferiti alla gradevolezza estetica, ma anche al risparmio che possono garantire alle finanze domestiche.
Le tegole solari sono, quindi, elementi architettonici adoperati nel campo dell’edilizia con due obiettivi: impermeabilizzare gli edifici come normali tegole e trasformare l’energia solare in energia elettrica da sfruttare per i consumi dell’abitazione o da rivendere al gestore nel caso in cui la produzione sforasse dalle concrete necessità dell’edificio. Approfondiamo meglio di cosa si tratta cercando di far luce sulle caratteristiche, sui prezzi, sui vantaggi e sugli svantaggi che la scelta eventuale comporta.

I pannelli fotovoltaici

I pannelli fotovoltaici possono convertire l’energia solare in energia elettrica grazie all’effetto fotovoltaico: questo principio fisico permette ad un elettrone sito nella banda di valenza degli atomi semiconduttori, in cui è legato al nucleo, di passare nella banda di conduzione. Il passaggio è reso possibile grazie all’assorbimento di un fotone di luce dotato di sufficiente energia da permettere il superamento della barriera da una banda dotata di nucleo all’altra, in cui l’elettrone è libero di muoversi senza il vincolo del nucleo. Sulla base di questa legge della fisica, per produrre energia elettrica una cella fotovoltaica deve essere costituita da una sovrapposizione di due sottili strati di semi condutture in silicio: tale giunzione è formata da un numero di celle fotovoltaiche sufficiente per creare una tensione continua degli elettroni, qualora le stesse celle siano esposte a sufficiente luce solare.

Le celle fotovoltaiche

Abbiamo descritto brevemente il funzionamento delle celle delle tegole solari e abbiamo accennato che queste sono perlopiù in silicio. Tuttavia ne esistono di vario tipo. Le tipologie più diffuse sono quelle in silicio monocristallino, realizzate appunto in silicio puro. Questa purezza garantisce prestazioni ottimali, ma naturalmente il prezzo è più elevato rispetto ad altre celle, come ad esempio quelle in silicio policristallino, le quali hanno un grado di purezza inferiore e un costo più basso. Ovviamente anche le prestazioni sono inferiori. 

Oltre a queste due tipologie, un’altra molto diffusa è quella delle celle a silicio amorfo, le quali vengono ottenute disponendo un sottile strato di atomi di silicio su supporti di altro materiale. Le prestazioni sono nettamente inferiori rispetto alle due tipologie sopracitate, tuttavia questo metodo permette di ricoprire in maniera continuativa ed omogenea superfici decisamente estese. 

 Infine vi è un ultimo formato di celle solari, quelle a CIS o a GCIS. Si tratta delle celle solari a Seleniuro di Rame Indio oppure Seleniuro di Rame Indio Gallio. Queste celle sono formate da uno strato sottilissimo di Seleniuro, il quale è distribuito su un substrato in plexiglass. La conformazione di queste celle rende ottimale l’assorbimento della luce e quindi anche il rendimento di produzione dell’impianto fotovoltaico.

Tegole solari in commercio

Le tegole fotovoltaiche si differenziano anche a seconda della forma e del materiale: la caratteristica che le accomuna tutte è legata all’inserzione di materiale fotovoltaico nel manufatto, come abbiamo spiegato nel paragrafo precedente. Vediamo ora quali sono le tegole in commercio. 

Le prime sono le tegole fotovoltaiche marsigliesi, che sono caratterizzate dalla forma tipiche delle classiche tegole marsigliesi, la cui parte centrale ricoperta del materiale fotovoltaico. Esse possono essere realizzate sia in plastica che in laterizio.

Vi sono poi i coppi fotovoltaici, che hanno la classica forma del coppo e come i coppi classici sono fatti di cotto, il quale può essere antichizzato per produrre un effetto omogeneo se applicato su edifici storici. Queste tegole hanno lo strato fotovoltaico in silicio amorfo, il quale è facilmente sagomabile e quindi permette di assumere la caratteristica forma.

Le tegole solari portoghesi, invece, sono realizzate in cotto oppure in materiale plastico. Il materiale fotovoltaico si trova nella parte piana della tegola, che assume la forma delle tegole “classiche” di cui porta il nome.

Un altro tipo di tegola solare è quello chiamato scandola fotovoltaica: questa somiglia molto alle scandole bituminose, il cui interno è di resina bituminosa e non ovviamente di materiale fotovoltaico come nel caso delle scandole solari:le scandole fotovoltaiche sono costituite da celle a film sottile apposte su uno strato di resina.

Infine vi sono le tegole fotovoltaiche trasparenti, le quali lasciano passare all’incirca l’80% della luca visibile. Sono in materiale organico trasparente che, pur lasciano passare la luce, assorbe le radiazioni con frequenze nell’ultravioletto e nell’infrarosso. I sali organici di cui è composta la tegola emettono una luce simile all’infrarosso; la luce viene deviata sul bordo della tegola, dove è situata una striscia di fotovoltaico la quale converte la luminescenza in energia elettrica. L’efficienza di questo tipo di impianto è bassa, ma la trasparenza le rende perfette per illuminare i sottotetti.

Tegole solari: vantaggi e svantaggi rispetto al fotovoltaico tradizionale

Oltre all’efficienza dell’impianto fotovoltaico, le tegole fotovoltaiche devono garantire alcune caratteristiche, che sono assicurate dal materiale di cui sono fatte (resine e cotto). Una delle qualità delle tegole solari è l’impermeabilità: come tegole vere e proprie, queste garantisco la protezione dalla pioggia, dal vento e da qualunque agente atmosferico, così come garantiscono un buon isolamento termo acustico. Inoltre hanno una buona integrazione architettonica, ossia passano quasi “inosservate”, a differenza di altri impianti fotovoltaici e solari che sono decisamente antiestetici. Questa caratteristica è molto importante visto che nei centri storici e anche in quelli delle comunità montane e marine viene richiesta l’integrazione con l’ambiente e capita che determinati impianti, per quanto ecologici, vengano impediti perché contrastanti con le caratteristiche ambientali.

Nonostante la conformazione estetica delle tegole lo abbia rese bello, oltre che utili (in quanto produttrici di energia), questo tipo di impianto non garantisce la stessa efficienza degli impianti tradizionali. I motivi del minor rendimento energeticoè legato a diversi fattori, a partire dalla difficoltà di ventilazione del materiale fotovoltaico, che provoca l’aumento della temperatura della cella, con conseguente riduzione del rendimento e perdita di efficienza. La minor efficienza è legata anche agli ombreggiamenti causati dalle antenne, dai camini, eccetera: coni d’ombra impedisco ai raggi solari di raggiungere le celle dell’impianto e quindi una minor produttività. Inoltre l’ombra causa il rischio del danneggiamento della cella a causa di un riscaldamento eccessivo e non omogeneo, intermittente. Infine l’elevato numero di connessioni dovute al fatto che ogni tegola è collegata ad un’altra causano perdite nel circuito elettrico. 

Oltre a questi svantaggi e al minor rendimento, le tegole solari costano anche di più dei pannelli fotovoltaici classici. Questo tipo di impianto, però, presenta anche dei vantaggi rispetto a quello tradizionale. Innanzitutto il fattore estetico: come abbiamo già detto in determinate zone i pannelli “standard” non sono installabili a causa dei vincoli paesaggistici. Inoltre la posa delle tegole è estremamente facile rispetto ai più ingombranti pannelli. Le dimensioni ridotte, poi, permettono di posarle su superfici molto elevate.

Costo delle tegole solari

Il costo delle tegole dipende dalle dimensioni delle stesse e dal materiale: in ogni caso il prezzo della singola tegola fotovoltaica si aggira tra i 50 euro e i 100 euro. Per ottenere un impianto di 3 KWp servono quindi circa 500 tegole solari per un costo compreso tra i 25.000 e i 50.000 euro (esclusa la manodopera).


Investire 500 euro: come far fruttare i propri soldi?

Nonostante la crisi economica, sono tanti i risparmiatori che oggi si chiedono come investire 500 euro in maniera redditizia. A seconda del portafoglio, abbiamo consumatori che si domandano far fruttare questa somma investendola ogni mese (parliamo, dunque, di 6 mila euro annui per capirci) oppure come investirli annualmente o una tantum. Per ognuno di loro cercheremo di dare le dovute risposte, servendoci dell’ampio archivio di cui il nostro blog dispone per tutte le varie esigenze.

Se questa è la prima volta su Affari Miei, nel darvi il benvenuto vi invitiamo a leggere gli articoli della sezione dedicata alla finanza e il nostro e-book su come investire i soldi. Iscrivendovi alla newsletter gratuita situata in basso, poi, riceverete gli aggiornamenti periodici con i post più significativi.

Investire 500 euro una tantum

Avete 500 euro e non sapete cosa farne. Trattandosi di una somma molto piccola, vi consigliamo di non sprecarla: investendo in strumenti per così dire sicuri (bfp, conti deposito o simili) otterrete remunerazioni ridicole. Il consiglio è di conservarla ed aumentare il gruzzolo oppure di spendere parte dei soldi per migliorare voi stessi da un punto di vista professionale. Potete, ad esempio, acquistare un corso online per migliorare una vostra competenza (ammesso che abbiate il tempo di farlo, altrimenti è inutile) oppure comprare libri dedicati alla materia che più vi interessa (sempre che vogliate leggerli). Con questa cifra potete arricchire di molto la vostra preparazione e trovare un lavoro migliore oppure aumentare la redditività della vostra azienda.

Investire 500 euro ogni anno

Tutti vi consiglieranno di fare un piano individuale pensionistico, una polizza vita o altro. Secondo noi vi conviene soltanto se il ragionamento si inquadra in una logica diversificata che prevede un investimento complessivo più elevato. In caso contrario, se il denaro non vi serve subito, potete pensare di comprare titoli di stato (sperando che i rendimenti salgano!) o buoni postali con durata medio-lunga e con la possibilità di riavere il denaro nel caso in cui vi serva.

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Guida per investire 500 euro oggi
Investire 500 euro al mese: per fare cosa?

Se le vostre disponibilità aumentano, è chiaro che il risparmio da investire è piuttosto altro e può essere diversificato (anzi, deve essere diversificato) su più soluzioni. Ad esempio possiamo prevedere la valutazione di:
Oltre ai già citati titoli “sicuri” come BPT e BFP. Tutto questo si muove sempre nella logica che il risparmio va consolidato e non sperperato: se non avete adeguate competenze finanziarie, state lontani da azioni, forex e opzioni binarie. Nel caso in cui abbiate 6 mila euro annui da investire e risultiate proprietari di casa, potete pensare di investirli nell’efficienza energetica o in ristrutturazioni edilizie per la vostra abitazione: approfittando delle detrazioni, potrete incidere significativamente nel medio periodo sulle bollette dell’energia ed ottenere degli utili.

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Esecutore testamentario: cosa fa e compenso

In fase di redazione del testamento il testatore ha la facoltà di nominare un esecutore testamentario. In questo articolo andiamo ad approfondire il ruolo e le caratteristiche che questa figura ricopre, ma prima è necessaria una breve parentesi: in seguito all’avvenuta pubblicazione del testamento (che sia olografo, pubblico o segreto), il contenuto del documento diventa eseguibile. Con l’esecuzione testamentaria si intende l’insieme delle funzioni e delle attività che l’esecutore deve far sì che vengano poste in essere e comprende tutti gli atti racchiusi tra la fase di accettazione e quella della cessazione d’ufficio. La funzione dell’esecuzione è quella di dare esecutività alle volontà del testatore, riportate nell’atto.

Ma chi si occupa dell’esecuzione di tali volontà, visto che il de cuius, per ovvie ragioni, non può più farlo? Di norma la cura dell’esecuzione è affidata all’erede, tuttavia il testatore può ritenere che sia una persona diversa e di sua fiducia a ricoprire questo ruolo. Se così è, allora il testatore deve procedere alla nomina di un esecutore testamentario, il quale provvede ad eseguire le ultime volontà del de cuius, premurandosi di controllare che i beneficiari osservino tali volontà. L'esecutore testamentario, in quanto gestore di beni ereditari e in quanto investito della possibilità di agire in giudizio a loro tutela, è considerato titolare di un ufficio di diritto privato, senza funzione rappresentativa, poiché agisce nell’interesse altrui. Analizziamo più nel dettaglio le caratteristiche dell’ufficio di esecutore testamentario.

Chi è l’esecutore testamentario e compenso che gli spetta

Come abbiamo anticipato, l’esecutore è colui che viene nominato dal testatore stesso con il compito di prendersi cura della corretta esecuzione di quanto previsto nel testamento; gli esecutori testamentari possono essere più di uno, se così fosse devono agire in maniera congiunta. Le persone scelte dal testatore per questa funzione possono anche essere gli eredi o i legatari, l’importante è che non si tratti di un minore, di un soggetto interdetto o di un soggetto inabilitato. L’incarico dell’esecutore testamentario è gestire i beni rientranti nell’eredità, ossia la massa ereditaria, con la conseguenza che ne prende possesso, con l’obbligo di rendere conto della gestione. Di norma l’esecutore opera senza ricevere nessun tipo di retribuzione, ma un rimborso spese. L'autonomia privata di chi impartisce le ultime disposizioni, comunque, può anche decidere diversamente.

Nomina dell'esecutore testamentario

Il testatore ha molta libertà nella scelta dell’esecutore delle sue ultime volontà, infatti può scegliere uno o più esecutori e, nel caso di una molteplicità degli stessi, può decidere la ripartizione dei compiti. Inoltre può anche stabilire chi sarà il sostituto nel caso in cui i nominati rifiutassero l’incarico. Non solo: il testatore ha libertà di autorizzare lo stesso esecutore a nominare il proprio sostituto e può prevedere che l’esecutore testamentario sia retribuito a seguito dello svolgimento delle sue funzioni, sebbene, come spiegato nel paragrafo precedente, di norma sia previsto soltanto un rimborso spese. In seguito alla nomina, il soggetto prescelto deve accettare o rinunciare il ruolo, attraverso una apposita dichiarazione da depositare alla cancelleria della giurisdizione volontaria presso il Tribunale competente (il quale può fissare un termine entro cui l’esecutore deve rendere la dichiarazione).

Compiti e mansioni dell’esecutore testamentario

Abbiamo già anticipato quali sono i compiti dell’esecutore delle ultime volontà del de cuius, ma in questo paragrafo le approfondiamo meglio, rimarcando che in poche parole l’esecutore testamentario ha il compito di curare l’esatta esecuzione delle disposizioni di ultima volontà del defunto. Più nel dettaglio l’esecutore testamentario si trova a prendere possesso (per un anno massimo, con possibilità di rinnovo) dei beni della massa ereditaria, con il dovere di amministrarli. Nonostante questo possesso non è pregiudicato il potere di disposizione dei beni da parte dell’erede, anche durante la gestione da parte dell’esecutore: infatti quest’ultimo ha il possesso di fatto dei beni finalizzati all’esatta esecuzione, ma il possesso di diritto e il potere di disposizione rimane in capo all’erede. 

Per quanto riguarda il compimento di atti di straordinaria amministrazione, come la vendita dei beni, l’esecutore deve chiedere l’autorizzazione all'autorità giudiziaria: ciò perché egli rappresenta in giudizio l’eredità e può avviare in autonomia e senza l’autorizzazione dell’autorità giudiziaria (che non è prevista per gli atti voluti dal testatore)non tutti, ma soltanto alcuni,dei procedimenti legali. Ciò che può fare senza tale autorizzazione, adoperando la diligenza del buon padre di famiglia, è il compimento di adempimenti di atti conservativi, cautelari e legati al pagamento dei debiti. 

L’esecutore può essere citato in giudizio se qualcuno propone un’azione legale relativa all’eredità che sta amministrando. Un altro compito della figura in questione è la possibilità di procedere alla divisione dei beni tra gli eredi, qualora il testamento lo preveda. Al termine della sua gestione l’esecutore deve dare il rendiconto finale o, nel caso sia passato più di un anno dalla morte del testatore senza che la gestione sia conclusa, deve dare un rendiconto di periodo. Circa i compiti e il ruolo dell’esecutore, il legislatore ha stabilito espressamente che qualunque atto compiuto da questa figura nell’espletamento delle sue funzioni non pregiudica il diritto del chiamato a rinunciare all’eredità o ad accettarla con beneficio di inventario.

Esonero e responsabilità dell’esecutore testamentario

L’esecutore del testamento ha delle precise responsabilità previste per legge e quindi può incorrere in responsabilità legate alla gestione da lui effettuata. Infatti, in caso di colpa egli è tenuto al risarcimento dei danni nei confronti dei legatari o degli eredi. Non solo: nel caso in cui l’esecutore commetta gravi irregolarità, oppure compia azioni che vanno a ledere la fiducia dei soggetti coinvolti (nel caso in cui emerga che non ha intenzione di far rispettare appieno le disposizioni testamentarie del de cuius), o, ancora, nel caso in cui risulti inidoneo a svolgere le funzioni previste dal ruolo (ad esempio nel caso in cui l’esecutore testamentario venga interdetto o inabilitato) allora qualsiasi interessato ha la possibilità di rivolgersi al Tribunale competente affinché l’esecutore sia esonerato dal suo ufficio.

La mediazione obbligatoria nelle cause successorie dal 20 settembre 2013

Dalla data del 20 settembre 2013, prima dell’avvio di una causa relativa ad una successione ereditaria nel caso in cui uno degli eredi/legittimari si sentisse in qualche modo leso, è necessario avviare un procedimento di mediazione davanti ad un organismo riconosciuto dal Ministero della Giustizia, con l’assistenza di un avvocato. L’intento del Legislatore è stato quello di ottenere un effetto di riduzione del numero sulle migliaia di giudizi iscritti ogni anno presso tutti i Tribunali Civili. Il vantaggio della mediazione è quello di un grande risparmio di tempo e di denaro e, una volta raggiunto l’accordo, i contraenti non dovranno più rivolgersi al Tribunale per rendere esecutivo il verbale di mediazione, in quanto il verbale ha un titolo esecutivo per l’espropriazione forzata, per l’esecuzione per consegna e rilascio, l’esecuzione degli obblighi di fare e non fare e per l’iscrizione di ipoteca giudiziale.

Smarrimento delle tessera sanitaria: cosa fare?

I portafogli di ognuno di noi straripano di tessere e documenti di ogni foggia, forma e colore. Nel caso di smarrimento o furto del borsellino potremmo trovarci in difficoltà per la perdita di documenti come la patente, la tessera sanitaria e la carta di identità. Queste tessere sono importantissime e la loro perdita o il loro deterioramento richiedono l’immediata sostituzione. In questo articolo approfondiamo cosa fare nel caso di smarrimento della tessera sanitaria. Iniziamo cercando di capire quali sono la funzione e le caratteristiche del tesserino in questione.

Funzione del tesserino sanitario

Questo documento da diversi anni ricopre due importanti funzioni: infatti serve sia da documento riportante il codice fiscale, sia da lasciapassare per accedere alle prestazioni fornite dal Servizio Sanitario Nazionale. Tale tessera ha una durata di sei anni ed è valida in tutti i Paesi che fanno parte dell’Unione Europea, oltre che in quelli appartenenti all’area dello Spazio Economico Europeo, ossia Norvegia, Islanda, Liechtenstein e Svizzera. Grazie alla nuove tessera le prestazioni sanitarie sono accessibili anche nei Paesi elencati poco fa senza che sia necessario richiedere come in passato il modello cartaceo E111. Trascorsi i sei anni di validità viene spedita una nuova tessera a casa del cittadino, senza bisogno di richiederla compilando moduli e seguendo iter burocratici. La spedizione è a carico del Ministero dell’Economia e delle Finanze. I bambini appena nati, invece, ricevono un tesserino della durata di un anno.
Potrebbe anche interessare: Guida al rinnovo della tessera sanitaria

Dati della tessera sanitaria

Come abbiamo già detto, su questo documento è segnato il codice fiscale. Oltre ad esso vi troviamo contrassegnati i dati anagrafici, anche in caratteri in braille per le persone non vedenti. Sulla parte posteriore troviamo una banda magnetica su cui sono segnate le varie informazioni anagrafiche relative al cittadino a cui la tessera è intestata: grazie ad essa è possibile effettuare la lettura informatizzata che può essere utilizzata in farmacia, attraverso l’apposito lettore, per ottenere il cosiddetto "scontrino fiscale parlante". Tale scontrino è riferito esclusivamente alle prestazioni non a carico del Servizio Sanitario Nazionale, ai fini della detrazione dell'Irpef (detrazione pari al 19% dell’importo, che si può ottenere appunto soltanto grazie alla presentazione del codice fiscale).

Come comportarsi in caso di smarrimento del tesserino sanitario

In caso di smarrimento della tessera o di furto non è previsto dall’attuale normativa un obbligo di denuncia alle autorità competenti. Tuttavia si consiglia comunque di sporgere denuncia, ponendo in essere un atto cautelativo che ogni cittadino dovrebbe compiere nei casi in cui vengano rubati o smarriti dei documenti. Inoltre, onde evitare usi impropri da parte di chi magari si venga a trovare in possesso del nostro tesserino sanitario, è possibile bloccare immediatamente la tessera grazie ad una semplice telefonata. Il numero verde gratuito da chiamare è il numero 800.030.606, a cui risponde un operatore reperibile dal lunedì al sabato, dalle ore 8:00 alle ore 20:00.

Per quanto riguarda la denuncia di smarrimento o furto, il cittadino può procedere in due differenti modi. Il primo è il metodo telematico: accedendo ad internet, in particolare al sito della Polizia di Stato o dell’Arma dei Carabinieri, possiamo trovare l’indirizzo email che ci consente di metterci in contatto con le autorità. Per compiere questo passo, però, è richiesta la registrazione dell’utente ad un account personale. Perché la denuncia sia ultimata è richiesta anche la presentazione allo sportello di una qualsiasi stazione di polizia o carabinieri: il cittadino che ha smarrito il tesserino si deve recare qui entro 48 ore dalla denuncia sporta sul web. L’alternativa è quella di recarsi direttamente alla centrale dell’Arma senza effettuare i passaggi online, e sporgere denuncia direttamente al Comando. Dopo questo passaggio si può procedere con la fase successiva. Non tutti sanno che è possibile chiedere un duplicato della propria tessera sul sito internet dell’Agenzia delle Entrate: per ottenere un nuovo documento riportante il codice fiscale al cittadino vengono chiesti alcuni dati, ossia il codice fiscale, i dati inerenti la data e il luogo di nascita, la residenza e alcuni dati relativi alla dichiarazione dei redditi nell’anno precedente (quest’ultima opzione è a tutela del cittadino, così da garantire di evitare usi impropri della tessera e dei dati di chi ha smarrito il documento). Infine viene domandata anche la motivazione della richiesta di rinnovo. Se non si vuole o non si può compiere questa operazione online, allora il cittadino può recarsi all’anagrafe del proprio distretto sanitario, dove, all’apposito sportello per la richiesta di duplicati, può richiedere il modulo di compilazione, a cui bisogna allegare una copia della denuncia. In alternativa vi si può allegare un’autocertificazione per attestare il furto o smarrimento della tessera sanitaria. È anche possibile inviare i documenti via fax: in questo caso è richiesto di allegare alla richiesta una copia di un documento di identità (fronte e retro). Come abbiamo già detto, la richiesta può essere inoltrata anche presso gli uffici dell’Agenzia delle Entrate, presentando gli stessi documenti oppure sfruttando il portale online disponibile sul sito dell’Agenzia. Con questa modalità è possibile richiedere un solo duplicato per anno solare. Alcune regioni (come il Friuli – Venezia Giulia) mettono a disposizione il modulo per la richiesta direttamente on line, con notevole velocizzazione per questa tipologia di pratiche.

Richiesta di rinnovo con delega e da parte dei cittadini italiani residenti all’estero

È possibile delegare un terzo per ottenere un duplicato della tessera sanitaria smarrita? La risposta è positiva: il duplicato della tessera può essere anche effettuato attraverso una persona delegata, ma in questo caso la persona delegata, oltre ai documenti del delegante, deve esibire anche il proprio documento di identità: entrambi i documenti devono essere necessariamente in corso di validità.In caso di smarrimento, anche i cittadini italiani residenti all’estero possono richiedere il duplicato: essi devono rivolgersi al Consolato italiano nel Paese di residenza. Una volta compilato questo iter la nuova tessera, come nel caso del rinnovo, sarà inviata al domicilio del soggetto che ne ha richiesto una copia o presso la stessa rappresentanza diplomatica all’estero.

Insomma, nel caso in cui vi trovaste nella situazione di aver smarrito il codice fiscale non vi preoccupate: sia recandovi fisicamente all’Asl di competenza che per via telematica potrete riottenere al più presto la tesserina magnetizzata.

Prescrizione spese condominiali non pagate: guida

Quello delle spese condominialiè un argomento di comprensione piuttosto difficile. Non che non ne abbiamo noi gli strumenti, ma la normativa ha subito cambi e riprese, interventi della magistratura di più alto grado e interpretazioni della giurisprudenza. Oggi ci occupiamo della prescrizione dei debiti che hanno ad oggetto le spese condominiali, un tema piuttosto scottante e che interessa tanto i proprietari quanto gli affittuari. Vediamo insieme come muoversi nel Mare Magnum della normativa italiana sui condomini.

La morosità del condomino

Quando il condomino diventa moroso nel pagamento di quelle che sono le spese condominiali (di qualunque tipo esso siano, se periodiche o meno), l’amministratore designato ha l’obbligo di tentare di recuperare il credito. Questi agisce senza bisogno di essere autorizzato dall’assemblea, attendo da un tribunale ordinario un decreto ingiuntivo detto provvisoriamente esecutivo. Una volta ottenuto il decreto, se il condomino non corrispondesse immediatamente le somme indicate in decreto (a patto che siano dovute, ovviamente) il condominio può procedere all’esecuzione forzata, utilizzando strumenti come il pignoramento. Il condomino può ovviamente fare opposizione nel caso in cui ritenesse che il debito non fosse fondato.

La responsabilità dell’amministratore

L’amministratore non ha la possibilità ma bensì l’obbligo di tentare il recupero dei crediti. L’amministratore infatti che non procede al recupero a 6 mesi dalla loro scadenza può essere, ex lege, ritenuto responsabile.

Quanto tempo occorre per la prescrizione delle spese di condominio?

Le spese di condominio si prescrivono, secondo la Cass. sent n. 4489 del 25/02/2014, che è intervenuta a dirimere una questione che era violentemente discussa in dottrina, dopo 5 anni. Questo termine però, non va calcolato esattamente dalla maturazione del debito, ma piuttosto dalla delibera di approvazione dello stato di riparto.

Trattasi ovviamente di questione enormemente delicata e complessa e ne avranno sicuramente contezza coloro i quali seguono le evoluzioni (e spesso le involuzioni) legislative nel nostro paese. Prima infatti si riteneva che la prescrizione partisse dalla delibera dell’assemblea che approva le spese condominiali in oggetto. Secondo la Cassazione invece sarà l’assemblea che approva il rendiconto delle spese ad essere termine valido per l’inizio del calcolo della prescrizione.

Il problema dell’individuazione del riparto delle spese come termine di inizio della prescrizione è però stato sottolineato da moltissimi attenti commentatori in dottrina: spesso il riparto manca e dalla sentenza ultima della Cassazione è impossibile desumere quali siano i termini dai quali si dovrebbe cominciare a calcolare la prescrizione in assenza del riparto.

Chi paga cosa: il padrone dell’immobile e l’eventuale affittuario

La situazione è però diversa per quanto riguarda i rapporti tra chi è proprietario dell’immobile e chi invece è affittuario. Nel caso in cui fosse infatti l’inquilino a non aver pagato le spese condominiali (nel caso in cui il contratto lo prevedesse, aggiungiamo), il proprietario dell’immobile può chiederne il pagamento soltanto entro massimo 2 anni, dato che in materia di locazioni, secondo il nostro legislatore, il termine al quale si deve fare riferimento per la prescrizione è quello di due anni.

Chi è responsabile/obbligato nei confronti del condominio?

Secondo la legge è sempre responsabile il proprietario della casa, mentre l’inquilino ha obblighi soltanto verso il padrone di casa. Questo fermo restando che, come abbiamo indicato poco sopra, il padrone di casa ha il diritto di rivalersi sull’inquilino che non avesse pagato (se così stabilito) le spese condominiali entro 2 anni.

Sempre meglio chiedere la delibera

Quando si vende un’immobile, dato che può diventare anche per l’amministratore complicato calcolare quando, chi e dove debba pagare cosa, è sempre indicato farsi rilasciare una delibera che affermi che da voi il condominio non ha più nulla a che pretendere. Si tratta di un piccolo disturbo che vi permetterà di evitare scocciature che potrebbero non solo portarvi via del denaro, ma anche tanto preziosissimo tempo.

Registrazione contratto di comodato d’uso

Anche il contratto di comodato d’uso, come gli altri che hanno ad oggetto i diritti reali, vanno registrati. In questo caso dovremo interagire con l’Agenzia delle Entrate, scegliendo un qualunque ufficio e non necessariamente quello della provincia del nostro domicilio fiscale. Si tratta di una procedura relativamente semplice, che troverete spiegata nei dettagli nella guida di oggi. Continuate a leggere le prossime righe perchè la scopriremo insieme.

Come registrare il contratto di comodato d’uso

Il contratto di comodato d’uso va registrato con richiesta di registrazione da parte del proprietario dello stabile o comunque dell’immobile, e la richiesta, dopo essere registrata, viene restituita dall’Ufficio dell’Agenzia delle Entrate timbrata e vidimata.

La lista di procedure da seguire la trovate di seguito:
  • Bisogna innanzitutto produrre due copie, con firma in originale e non in copia, dell’atto che va registrato. La prima copia è per l’Ufficio del Registro, la seconda invece rimarrà per il proprietario. Entrambe queste copie vanno bollate, mentre un’eventuale copia per il comodante può essere prodotta, senza alcun tipo di problema, senza bolli;
  • Successivamente va compilato il Modello 69. Si può trovare in qualunque Agenzia delle Entrate;
  • Servono poi una marca da bollo da 16,00 euro per ogni 100 righe di contratto da registrare. La data delle marche da bollo deve essere necessariamente successiva alla data di stipula del contratto. Per fare un’esempio, chi vuole registrare un contratto di comodato stipulato dal 1 ottobre 2015, dovrà necessariamente apporre una marca da bollo dal 2 ottobre in poi; 
  • Bisogna effettuare versamento tramite modulo F23. L’importo del versamento per questa imposta di registro è di 200,00 euro. Il codice tributario è 109T;
  • In Agenzia delle Entrate, successivamente, vanno portate entrambe le copie da registrare. In allegato sono anche necessarie le marche da bollo, il Modello 69 che abbiamo compilato poco prima e anche la copia del modulo F23 che abbiamo preparato in precedenza;
  • Una volta consegnata la documentazione in questione, l’Agenzia delle Entrate si preoccuperà di controllarne la validità e dunque di restituire le copie opportunamente timbrate.
Informazioni aggiuntive possono essere trovate sul sito dell’Agenzia delle Entrate, che forniscono istruzioni tanto per compilare il modello 69, quanto per compilare il modulo F23. Si tratta di una procedura all’apparenza complessa, ma che può essere portata a termine sicuramente in poche ore. Una volta registrato il contratto, i nostri obblighi di registrazione e di pubblicità del contratto di comodato saranno adempiuti e non ci saranno ulteriori procedure burocratiche da portare a termine.

Obbligazioni Venezuela e rischio default: conviene investire nei bond venezuelani? Info e news

Conviene investire in obbligazioni Venezuela? Con ogni probabilità, se siete giunti su Affari Miei vi state ponendo questa domanda cruciale nella costruzione del vostro portafoglio degli investimenti. Il Paese sudamericano, uno dei c.d. paesi emergenti, offre rendimenti molto allettanti per i propri bond ma da più parti si parla di rischio default che, comunque, almeno per il 2016 pare essere poco probabile. Confrontando il rendimento netto promesso dal bond Venezuela 2027 con il rendimento, per esempio, dei BTP Italia o del Bond di CDP, è chiaro che c’è uno squilibrio a favore del primo. Tuttavia in economia rendimenti elevati e rischi camminano mano nella mano, pertanto prima di sottoscrivere un qualsiasi tipo di investimento è bene che teniate presente sempre questo ragionamento fondamentale.

Se avete poca dimestichezza con la materia o desiderate comunque approfondirla, vi consigliamo di leggere la nostra guida generale dedicata alle obbligazioni e di sfogliare la sezione finanza di Affari Miei per valutare anche le altre soluzioni presenti sul mercato e recensite. Come abbiamo detto in tante occasioni, la differenza la fa la maggiore o minore informazione: ciò vale per il business e per gli investimenti. Assicuratevi di avere abbastanza informazioni prima di compiere un qualsiasi grande passo.

News Obbligazioni Venezuela, conviene investire nei bond al 2027? Info sul rendimento netto e sui rischi

Cominciamo con l’elenco delle caratteristiche tecniche
Denominazione
Obbligazioni Venezuela 2027
Valuta di emissione
Dollaro USA
Scadenza
15 settembre 2027
Rendimento a scadenza
24,08%
Pagamento cedola
Ogni semestre
Rendimento fisso
9,25%

Come si vede, dunque, l’occasione sembra essere molto ghiotta. Teoricamente, infatti, le obbligazioni sono titoli “sicuri” in cui investire. Teoricamente, però, sottolineiamo. Perché uno stato offre un rendimento del 2% ed un altro molto di più? Torniamo al ragionamento fatto precedentemente: per remunerare di più, vuol dire che il rischio aumenta. L’economia del Venezuela sta vivendo una fase molto difficile: il Paese è legato in larga parte alle esportazioni di petrolio ed il calo del valore dell’oro nero sta incidendo irrimediabilmente sulle sue prospettive di crescita. Più in generale, stanno soffrendo tutti i Paesi le cui finanze sono determinate in larga parte dall'attività estrattiva: le previsioni sul prezzo delle materie prime per i prossimi anni sono decisamente poco incoraggianti.

C’è un altro aspetto molto importante che ci aiuta a valutare il rischio default del Venezuela: esiste un valore che si chiama CDS(tecnicamente è una curva e l’acronimo sta per Credit Default Swap) che quantifica le possibilità che il Paese possa fallire. E’ una specie di assicurazione che indica la propensione al rischio che ciò possa accadere. Come vedete dalla foto che alleghiamo (fonte), il valore sale nell’immediato ma tende a scendere nel lungo periodo. Inoltre la Cina, secondo diversi osservatori, avrebbe “salvato” Caracas con un prestito di 10 miliardi di dollari che, di fatto, ha “salvato” per ora il governo di Maduro ed ha garantito anche una certa solvibilità nell’immediato, tant’è che a marzo 2015 i creditori sono stati pagati.


Conclusioni di Affari Miei: conviene comprare bond Venezuela 2027?  

La nostra filosofia la conoscete: statene alla larga, risparmiate al massimo sulle vostre spese quotidiane e consolidatele comprando titoli a basso rischio. Giacchè però, con ogni probabilità, chi legge ha una propensione a mettersi in gioco più alta, allora bisogna provare a dare una risposta anche a voi. La composizione del portafoglio va concordata con un esperto, così da costruire un meccanismo che vada a compensare le perdite. Se proprio volete rischiare, contattate un valido consulente finanziario e decidete insieme a lui la quantità (minima, secondo noi) di risorse da impiegare sulle obbligazioni del Venezuela. Se non avete conoscenze adeguate dei mercati e vi fa paura investire su cose poco sicure, statene alla larga e andate al bar a comprare un caffè: nella peggiore delle ipotesi vi spilleranno un euro! Al riguardo potrebbe tornarvi utile la lettura del nostro e-book su come gestire i risparmi in cui diamo una infarinatura generale all'argomento finanziario: formarsi è una spesa funzionale per effettuare investimenti futuri corretti.

Decreto ingiuntivo: requisiti, competenza, opposizione e provvisoria esecutività

Nell’ambito legale legato ai pagamenti da parte di un debitore uno dei temi più importanti è quello del decreto ingiuntivo. In parole povere ed assolutamente a-tecniche possiamo dire che tale decreto è una forma abbreviata di giudizio, che ha lo scopo di obbligare il debitore a versare una somma di denaro al creditore. Qualora il debitore si opponga, tuttavia, bisogna instaurare un contradditorio con conseguente processo di cognizione ordinaria che determina un allungamento dei tempi. Il tema del decreto ingiuntivo così riassunto è in realtà molto ampio: in questo articolo vogliamo proporvi una guida che spieghi l’articolarsi di tale procedimento. Vediamo insieme ogni aspetto del tema in questione: in particolare parleremo dei requisiti per chiederlo, dell'individuazione del giudice competente all'emissione, dell'opposizione al decreto ingiuntivo, del decreto ingiuntivo telematico, di quello europeo e della mediazione. Se avete poco tempo da dedicare al tema, che arricchisce la nostra sezione dedicata al diritto civile, salvate questa pagina nei preferiti del vostro browser e tornate con calma perchè la lettura merita approfondimento.

Con decreto ingiuntivo (disciplinato dagli articoli 633 e seguenti del Codice di Procedura Civile) ci si riferisce ad un provvedimento attraverso cui, come abbiamo accennato, il titolare di un credito liquido, certo ed esigibile, fondato su prova scritta, richiede l’intervento di un giudice competente per ingiungere al debitore di restituire la somma. Il pagamento deve avvenire entro 40 giorni dall’avviso di notifica, 40 giorni entro i quali il debitore può proporre opposizione: in mancanza di essa si può procedere all’esecuzione forzata. Il decreto ha lo scopo di offrire al creditore uno strumento di tutela immediata, il quale permette di acquisire nell’immediato (senza attendere i lunghi tempi di una sentenza) il titolo per agire in maniera esecutiva nei confronti del debitore: quest’ultimo, ricevuta la notifica, può sia pagare una somma di denaro, sia consegnare beni per il valore della somma in questione, oppure può opporsi.

Requisiti del decreto ingiuntivo

Se emanato in assenza di contradditorio tra debitore e creditore (inaudita altera parte), il decreto ingiuntivo assume carattere documentale e costituisce l'esito conclusivo della fase monitoria del procedimento di ingiunzione, fase seguita dall'apertura di un procedimento ordinario di primo grado a cognizione piena. L’apertura del procedimento ordinario comporta il compiuto accertamento della pretesa azionata in contraddittorio tra il creditore e il debitore. Come abbiamo specificato in apertura, il decreto ingiuntivo è disciplinato dall’articolo 633 del c.p.c., dove troviamo elencati anche i requisiti necessari ad ottenere un decreto ingiuntivo: in tale articolo sono stabilite le condizioni di ammissibilità e quindi gli elementi essenziali che possono dar luogo a questo tipo di tutela. 

Quali sono le condizioni previste? Innanzitutto nell’articolo sopracitato è specificato che il procedimento per ingiunzione è esperibile esclusivamente per la tutela dei diritti di credito, i quali devono possedere uno specifico oggetto (una somma di denaro o cose mobili o fungibili). Il credito, poi, deve possedere il requisito della liquidità. Se vi sono queste condizioni, allora il giudice competente, su domanda del creditore, pronuncia l’ingiunzione di pagamento o di consegna, qualora vi siano determinati requisiti: in primo luogo il credito deve riguardare onorari per prestazioni giudiziali o stragiudiziali oppure il rimborso di spese fatte da avvocati, procuratori o da qualunque figura abbia prestato la sua opera durante un processo. In alternativa il credito può riguardare gli onorari o i rimborsi spettanti a notai o altri esercenti una libera professione o arte, per la quale esiste una tariffa/onorario legalmente approvato da un albo professionale. In questo caso l'art. 636 del c.p.c. prescrive che alla domanda sia allegata la fotocopia della parcella delle spese e prestazioni, unitamente al parere di conformità del competente ordine professionale di appartenenza. Infine deve essere data una prova scritta del diritto che viene fatto valere, come vediamo nel prossimo paragrafo.

Requisito della prova scritta

Perché la richiesta di emissione del decreto ingiuntivo possa essere valutata come fondata dal giudice, l’articolo 633, comma 1, numero 1, c.p.c. dispone esplicitamente che il richiedente debba dare prova scritta del credito. La procedura in questione, a differenza del processo ordinario di cognizione (che può avere ad oggetto qualsiasi situazione giuridicamente tutelata da farsi valere con qualunque mezzo di prova) può essere attivata solo sulla base di un diritto di credito del quale si dà prova scritta e avente ad oggetto una somma di denaro, una certa quantità di cose fungibili oppure una cosa mobile. Nel procedimento monitorio si possono avere prove scritte che prescindono da qualsiasi comportamento o atteggiamento del soggetto nei cui confronti tali prove vengono fatte valere, anche se con efficacia limitata alla fase sommaria, come vedremo in seguito. La prova scritta richiesta dalla legge è quella che può evincersi da fatti giuridici costitutivi di un diritto di credito e da qualunque documento che sia meritevole di fede e autenticità (che provenga dal debitore o da un terzo che abbia intrinseca legalità anche se privo di efficacia probatoria assoluta). Se il credito è relativo agli onorari di professionisti i cui onorari sono stabiliti nell’albo di iscrizione, allora alla domanda bisogna allegare la fotocopia della parcella delle spese e prestazioni sottoscritta dal ricorrente e corredata dal parere di conformità del competente ordine professionale di appartenenza. Ai fini dell'autorizzazione alla provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo (di cui parleremo nei prossimi paragrafi) costituiscono una situazione particolare l’assegno e la cambiale (i cosiddetti titoli di credito). Qualora l’ingiunzione fosse legata ad una condizione o ad una controprestazione, allora spetta al creditore ricorrente l’onere di dimostrare di aver eseguito la prestazione.

Competenza ad emettere il decreto di ingiunzione

Chi ha la competenza di emettere il decreto ingiuntivo? Il creditore deve depositare il relativo ricorso, ai sensi dell’articolo 637 c.p.c., presso il Giudice di paceoppure presso il Tribunale in composizione monocratica che sarebbe competente per la domanda proposta in via ordinaria. Il procedimento davanti al giudice di pace in materia civile è regolato dal codice di procedura civile e l’avvio della causa richiede una notifica a mezzo di ufficiale giudiziario alla parte contro la quale si intende agire. Il giudice di pace competente è quello nel cui territorio si trova il luogo di residenza della parte convenuta o dell'attore nel caso in cui il convenuto non sia residente o domiciliato in Italia. Per i crediti derivanti da prestazioni giudiziali o stragiudiziali, oppure dal rimborso spese effettuate dai legali o di altri ufficiali giudiziari, è competente ad emettere il decreto ingiuntivo anche il capo dell'ufficio giudiziario che ha deciso la causa da cui trae origine il credito. In riferimento ai crediti di notai ed avvocati risulta competente il giudice della zone dove è situata la sede il consiglio dell'ordine dell’albo professionale di riferimento. 

La competenza in merito all’opposizione al decreto ingiuntivo, invece, è da introdursi con atto di citazione al giudice che ha emesso il decreto opposto. Si tratta di una competenza non derogabile: per questo le eventuali domande connesse proposte dal creditore opposto e non riguardanti la competenza del giudice competente sull'ingiunzione dovranno essere separate e riassunte davanti al giudice realmente competente. Nel caso in cui il giudice dell'opposizione rilevi che il decreto ingiuntivo sia stato emesso da un giudice incompetente deve premurarsi dichiararne l'incompetenza. Da ciò deriva la nullità del decreto stesso e la causa dovrà essere riaperta. 

Durante la fase sommaria il giudice del monitorio ha il potere di rimediare alla carenza della documentazione del ricorrente invitandolo a produrre documentazione a carattere integrativo. Inoltre il giudice può richiedere chiarimenti in ordine alla documentazione prodotta, ai sensi dell’articolo 640: qui non viene specificato nulla in relazione alla forma dell’invito, che comunque dovrà essere redatto in forma scritta e riportare la data. 

Accoglimento e rigetto della domanda

La prima fase in cui si articola il procedimento è l’accoglimento della domanda, domanda che si deve proporre con ricorso contenente l’indicazione delle parti, l’oggetto, i motivi della richiesta, l'indicazione delle prove che si producono e infine la dichiarazione di residenza del ricorrente. Il ricorso va depositato in cancelleria, insieme agli allegati che documentano tutte le prove comprovanti l'esistenza del credito. Dopo aver valutato le prove e il ricorso nel suo complesso il giudice ha facoltà di decidere se sospendere la richiesta a causa di mancanza di prove: in questo caso il ricorrente sarà invitato a produrre, come abbiamo anticipato, nuova documentazione da presentare al giudice; il giudice può anche rigettare la richiesta, con decreto motivato, il quale comunque non impedisce la riproposizione della domanda anche in via ordinaria. 

Nel caso in cui invece sussistessero tutte le condizioni per l’accoglimento del ricorso, allora il giudice provvede all’accoglimento della domanda emettendo il decreto ingiuntivo e ordinando quindi al debitore di adempiere all'obbligazione nei termini stabiliti. È anche possibile che il giudice autorizzi l’esecuzione provvisoria nel caso in cui il credito sia fondato su atti ricevuti da notai o altri pubblici ufficiali, oppure nel caso in cui vi fosse pericolo di grave pregiudizio nel ritardo.

Notificazione del decreto

In seguito all’accoglimento della domanda, il decreto ingiuntivo deve essere notificato al debitore a cura del ricorrente, unitamente al ricorso. La notifica è a cura del ricorrente, che deve adoperare la copia autentica. I tempi richiesti sono di 60 giorni dall’emissione dell’atto, pena l’inefficacia dell’ingiunzione. Se si verifica questo caso e il decreto diventa inefficace, non viene preclusa la possibilità di ripresentare la domanda, ai sensi dell’articolo 644 del codice di procedura civile.

Opposizione al decreto ingiuntivo

L’opposizione è uno strumento con cui il debitore impugna il decreto di ingiunzione e costituisce la seconda fase del procedimento ingiuntivo. L’opposizione va presentata entro 40 giorni dalla ricezione della notifica (oppure nel tempo dichiarato dal giudice). Nel caso in cui il debitore proponesse l’opposizione, allora si dà avvio alla fase caratterizzata da un giudizio che si svolge davanti al giudice secondo le norme del processo ordinario. Anche la citazione in opposizione deve essere notificata, questa volta al ricorrente, presso il procuratore o nella residenza del ricorrente stesso. Nel documento vanno esplicitate le motivazioni per cui il debitore afferma che il credito non sussista, anche se solo in parte. 
A questo punto vi sono due opzioni, a seconda che il decreto sia provvisoriamente o non provvisoriamente esecutivo: nel primo caso, qualora vi siano gravi motivi valutati dal giudice istruttore, quest’ultimo ha facoltà di sospendere l’esecuzione provvisoria del decreto di ingiunzione con ordinanza non impugnabile. Nel secondo caso, invece, il giudice può concedere la provvisoria esecuzione,nel caso in cui l'opposizione non sia fondata su prova scritta o non appaia di facile soluzione. I termini di comparizione a seguito della fase dell’opposizione del decreto ingiuntivo sono gli stessi stabiliti dalla legge per il procedimento ordinario. Tuttavia il decreto legge n. 69 del 2013 ha introdotto una nuova eccezione rispetto al procedimento ordinario: per i giudizi instaurati dopo il 22 giugno del 2013, l'anticipazione dei termini va disposta fissando l'udienza per la comparizione delle parti non oltre trenta giorni dalla scadenza del termine minimo a comparire. 

Le ipotesi che possono verificarsi nella conclusione del giudizio di opposizione sono molteplici. In primo luogo vi è, naturalmente, il caso dell’accoglimento della contestazione avanzata dall’attore. Se invece l’opposizione viene proposta fuori termine oppure se l’opponente non si è costituito, allora il giudice dichiara su istanza del ricorrente l’esecutività dell’ingiunzione. L’opposizione può essere accolta in maniera anche solo parziale: in questo caso il titolo esecutivo è costituito dalla sentenza, ma gli effetti di esecuzione già compiuti (nei limiti della somma o delle quantità ridotte) conservano i loro effetti. Infine l’opposizione può essere rigettata integralmente: il decreto acquista efficacia esecutiva.

Decreto ingiuntivo: alcuni casi particolari

In questo paragrafo analizziamo il decreto ingiuntivo nei casi del recupero di stipendi non pagati e del recupero dei canoni di locazione. Nel primo caso, ossia nel caso in cui vi fossero degli arretrati con gli stipendi da percepire, si può intraprendere la strada del decreto ingiuntivo. Se il lavoratore ha già tentato altre strade senza successo e se è in possesso di una prova scritta del proprio credito (in genere la busta paga non quietanzata) può chiedere la consulenza e l’intervento ad un avvocato che presenti il ricorso ingiuntivo. Tale procedimento non supera i tre o i sei mesi e permette di non ricorrere all’insaturazione di una causa ordinaria, ma di percorrere una strada più rapida che consente al dipendente di ottenere un ordine di pagamento degli arretrati. Al datore di lavoro sono concessi poi 40 giorni dalla notifica del decreto per decidere se pagare o meno(in questo caso si passerà all’esecuzione forzata) oppure se avviare una opposizione che porterà al giudizio ordinario. Per evitare di arrivare a questa situazione il lavoratore potrebbe chiedere in prima udienza al giudice di dichiarare il decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo: così facendo, pur perdendo la causa, il dipendente può agire in esecuzione forzata. 

 Il decreto ingiuntivo è una strada che si può intraprendere anche nel caso del mancato pagamento di canoni di locazione: nel caso in cui il conduttore decida di non avviare il procedimento di opposizione, allora il decreto ingiuntivo diviene inoppugnabile e quindi il conduttore deve corrispondere l’intera somma richiesta. Infine si può ricorrere all’ingiunzione tramite decreto anche in un terzo caso, ossia quello in cui i condomini fossero morosi e non avessero pagato i contributi all’amministratore di condominio, che tramite il ricorso all’ingiunzione può riscuotere le somme dovute per l’amministrazione ordinaria delle parti comuni dello stabile e per l’esercizio dei servizi comuni.

Decreto ingiuntivo provvisoriamente (immediatamente) esecutivo

Finora più volte abbiamo parlato di un caso particolare, quello del decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo. Capiamo di cosa si tratta. In mancanza di opposizione entro i 40 giorni il decreto ingiuntivo diviene esecutivo in maniera definitiva, sulla base del decreto emanato dallo stesso giudice e ad istanza del soggetto ricorrente. Tuttavia è previsto per legge che il decreto possa essere dichiarato provvisoriamente esecutivo dal giudice, ad istanza del ricorrente da avanzare nello stesso ricorso per l’emissione del decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo. Il giudice deve concedere l'esecuzione provvisoria del decreto qualora il credito sia fondato su una cambiale, su certificato di liquidazione di borsa, su atto ricevuto da un pubblico ufficiale o da un notaio oppure su un assegno circolare. Inoltre il giudice, come abbiamo accennato, può concedere il decreto provvisorio in caso di pericolo di grave pregiudizio nel ritardo o se il ricorrente produce documentazione sottoscritta dal debitore. L’esecuzione provvisoria produce immediatamente effetti (subito dopo la notifica). In mancanza del pagamento allora il giudice può autorizzare l’esecuzione provvisoria entro 40 giorni. Inoltre, il giudice può autorizzare l’esecuzione forzata senza che vengano lasciati passare neppure i 10 giorni previsti dall’articolo 482 c.p.c.. La formula del decreto deve essere rilasciata in un’unica copia, ma siccome per la notifica occorrono due copie autentiche, allora la formula viene rilasciata in calce al decreto, mentre una copia non originale viene adoperata per la notifica. La copia e l’originale vanno quindi distinte, poiché se il destinatario dovesse ricevere l’originale non si potrà procedere all’esecuzione forzata a causa della mancanza dell’originale in capo alla documentazione dell’autorità. L’emanazione del decreto provvisorio non esonera il creditore dalla notifica di decreto entro i 60 giorni dalla sua emissione. Perfezionata tale notifica non dovranno passare i 40 giorni per procedere con l’esecuzione forzata, grazie agli effetti del decreto provvisorio, ma soltanto 10 giorni (salvo diverse prescrizioni del giudice.)

Il decreto ingiuntivo telematico

Nell’ordinamento italiano, a partire dall’anno 2014, è entrato in vigore il decreto ingiuntivo telematico. Lo scopo di questa iniziativa di adeguamento agli standard europei è quello di ridurre il consumo di carta, oltre che quello di velocizzare i tempi richiesti per la procedura. La creazione del file è possibile da qualunque software abilitato alla stesura di testi e il formulario si trova facilmente online. La firma si può apporre in via digitale. Anche il giudice può emettere il provvedimento di ingiunzione adoperando un mezzo telematico, che il Ministero ha apposto nei Tribunali. Quando l’ingiunzione di pagamento viene emessa con le modalità telematiche il cancelliere del tribunale non deve rilasciare attestazioni formali di non interposta opposizione al decreto: ciò perché il sistema informatizzato segnala da sé la pendenza di un’opposizione al decreto grazie ad una funziona di alert.

Decreto ingiuntivo europeo

Il procedimento di ingiunzione di pagamento europeo (riconosciuto da tutti i Paesi dell’UE) è in vigore dal 2008 e duna procedura volta a garantire un agevole recupero di crediti non ancora contestati in caso di controversie transfrontaliere, aventi natura commerciale oppure civile. Oltre a velocizzare le pratiche di recupero dei crediti e ad essere economico, questo sistema garantisce il principio di libera circolazione delle ingiunzioni nell’ambito comunitario. Così come per il decreto ingiuntivo ordinario, anche la procedura europea è definita monitoria. 
Il decreto ingiuntivo europeo, tuttavia, non si può applicare nell’ambito di tutte le controversie: sono escluse dal regolamento le materie amministrative, doganali e fiscali, oltre che i fallimenti, le procedure concorsuali assimilabili, i regimi matrimoniali, i concordati preventivi, la previdenza sociale e i crediti che derivano da obbligazioni non contrattuali. Perché la procedura possa essere avviata il credito deve essere liquido, certo ed esigibile come per il decreto ingiuntivo “nazionale”. Inoltre una delle due parti deve avere il domicilio in un paese differente rispetto a quello del giudice e deve trattari di un rapporto economico tra più imprese o tra l’impresa ed il consumatore. Il pagamento in seguito all’emanazione di un decreto ingiuntivo europeo deve essere effettuato entro 30 giorni dall’introduzione della domanda. 

Come nel decreto ingiuntivo interno, anche nel caso del decreto ingiuntivo europeo si tratta di un provvedimento emesso senza contradditorio e sulla base di informazioni fornite dal soggetto ricorrente; allo stesso modo, come per il l’ingiunzione italiana, in caso di opposizione il destinatario dell’ingiunzione ha diritto di presentare opposizione al giudice entro 30 giorni dalla ricezione della notifica. Il procedimento avviene dinanzi al giudice dello stato membro competente. Scaduti i 30 giorni il regolamento UE permette al soggetto convenuto di sottoporre la procedura al riesame, ciò soltanto in alcuni casi previsti, ossia nel caso in cui vi fosse stata l’impossibilità di contestare il credito per il convenuto a causa di forze maggiori; ingiunzione emessa a toro; infine nel caso in cui non vi fosse stata prova di ricevimento della notifica da parte del convenuto oppure se il termine fosse stato troppo breve. Il giudice ha facoltà sia di accogliere che rigettare l’istanza: se l’accoglie l’ingiunzione diviene nulla.

La mediazione nell’opposizione al decreto ingiuntivo

Per quanto riguarda la mediazione nell’opposizione al decreto di ingiunzione, su questo argomento si è espressa la Corte di Cassazione con la sentenza n. 24629 del 3 dicembre 2015. Il dubbio affrontato dalla Corte era fondato sul fatto che il procedimento di mediazione nei processi di ingiunzione non è obbligatorio e non fa parte delle condizioni fondamentali per poter procedere. L’obbligatorietà della mediazione nei procedimenti di ingiunzione non è esclusa, tuttavia prende vigore nella fase dell'opposizione, ossia dopo la prima udienza. 

Ma l’onere di mediazione è a carico dell’opponente o dell’attore? Secondo quanto stabilito dalla Corte di Cassazione nel 2015 l’onere ricade sul debitore opponente, il quale ha l’interesse ad avviare il giudizio di opposizione e, quindi, anche l’iter di mediazione grava su di lui. Se non viene assolto tale onere, allora il decreto ingiuntivo diviene definitivo. 

Prima che la Corte di Cassazione sancisse quanto detto sopra, sulla questione sussistevano dubbi. Nelle situazioni di mancato avvio della mediazione, gli stessi giudici si trovavano spesso in disaccordo: alcuni sostenevano infatti che il decreto ingiuntivo oggetto della contestazione dovesse acquistare efficacia esecutiva e autorità di giudicato a seguito di omessa mediazione dell’opponente, mentre altri sostenevano che la mancata procedibilità investisse anche il decreto ingiuntivo per omessa mediazione da parte dell’opposto. Invece la Corte Suprema ha stabilito che il principio su cui basarsi per rispondere alla questione debba essere quello del ragionevole processo, oltre che quello dell’efficienza processuale. Alla luce di ciò l’onere per l’avviamento della mediazione deve essere a carico del soggetto che ha il potere di iniziare il processo, ossia il debitore, in quanto titolare dell’interesse ad introdurre il giudizio di merito. In mancanza di mediazione vi sarà l’improcedibilità dell'opposizione e il contestuale consolidamento degli effetti sanciti dal decreto ingiuntivo.

Buoni fruttiferi postali 2016: rendimento, interessi, conviene investire con Poste Italiane?

Volete un investimento sicuro? I “vecchi” buoni fruttiferi postali di Poste Italiane restano attuali per chi desidera tutelare i propri risparmi senza rischiare nulla. Facendo un calcolo degli interessi non si ottengono cifre esorbitanti e tanti si chiedono se conviene veramente sottoscrivere i Bfp collocati in esclusiva da Poste Italiane. Questa forma di investimento postale sicuroha dei vantaggi da un punto di vista della tassazione (12,50% contro il 26% dei conti deposito e 20% dei conti correnti) e dei rischi: non c’è niente di più sicuro ad oggi. Come i Bot, i Bfp sono emessi da Cassa Depositi e Prestiti e sono garantiti dallo Stato Italiano. La differenza è che il prezzo dei buoni postali non oscilla: è quello nominale con cui si sono acquistati mentre i titoli di stato fluttuano sul mercato e la quotazione potrebbe aumentare o diminuire ogni giorno.

Irendimenti dei Bfp sono mediamente inferiori rispetto ai Bot. Secondo diversi analisti le ragioni sono legate essenzialmente al rischio: i buoni delle Poste appaiono più “sicuri” rispetto ai titoli di Stato e dunque gli interessi corrisposti sono più bassi. C’è anche un altro aspetto, a nostro avviso: le Poste sono presenti praticamente ovunque, anche in realtà periferiche e piccoli paesi dove molto spesso ci sono pochissimi sportelli bancari. Con i clienti, specie con i più anziani, si è instaurato storicamente una sorta di rapporto di fiducia, per cui come accade in economia la fiducia molto spesso porta un vantaggio a chi deve vendere che, in questo caso, remunera meno. In questo articolo guida, oltre a fornire tutti gli elementi per valutare se conviene oppure no sottoscrivere i Buoni Postali, archiviamo di volta in volta le condizioni delle varie emissioni.
Recensioni di Affari Miei sui prodotti di Poste Italiane:


Rendimento buoni fruttiferi postali, calcolo interessi buoni ordinari e varie tipologie: si paga l'imposta di bollo?

Sono davvero tante le tipologie di buoni postali: bisogna seguire di volta in volta le varie emissioni. Essi possono essere cartacei oppure dematerializzati (senza rilasciare un titolo ma sottoscritti online) e possono essere cointestati. Il rendimentoè variabile a seconda dei casi: in alcune ipotesi il rendimento è fisso crescente, è fisso unito ad una quota variabile oppure è soltanto fisso. Anche gli orizzonti temporali cambiano: ad oggi quelli a breve scadenza come i buoni a 18 mesi non paiono essere molto remunerativi. Più redditizi, invece, sono i buoni a lunga scadenza come quelli ordinari (che valgono 20 anni). Molto famosi, poi, sono i buoni indicizzati all’inflazione che, come da titolo, mirano a garantire l’adeguamento dei propri risparmi all’aumento del costo della vita.
Come tutti i prodotti di investimento, anche sui BFPè prevista l'imposta di bollo se l'ammontare complessivo posseduto supera i 5 mila euro. L'importo è pari al 2 per mille (0,2%) della somma posseduta.
Quali sono le novità di gennaio 2016?  Andiamole a scoprire aggiornando il quadro delle tipologie di BFP.  Per approfondire vi invitiamo a leggere la nostra riflessione: Buoni Fruttiferi Postali: ma conviene veramente investire?

Vantaggi nella sottoscrizione dei buoni fruttiferi: perchè pensare agli investimenti postali

Conviene questa forma di investimento? Per risparmiatori non esperti di finanza e poco propensi al rischio, questa soluzione ci pare la strada migliore per iniziare ad investire i propri soldi da soli. Questo perché i Bfp:
  • sono garantiti dallo Stato Italiano e quindi è molto difficile perdere soldi;
  • il denaro può essere svincolato in qualsiasi momento senza ottenere meno del capitale investito (per i Bot, invece, può capitare di dover vendere a un prezzo più basso);
  • godono di agevolazioni fiscali: la tassazione, come abbiamo detto, è del 12,50%;
  • sono semplici da capire;
  • non hanno costi di gestione come i fondi pensione e le polizze vita: pur offrendo interessi meno appetibili, non è da escludere che rendano più di una super polizza presentata da un consulente finanziario o assicurativo.
=> Leggi anche: Tutti i conti correnti in promozione: clicca per le migliori offerte! 

Svantaggi dei buoni postali

Ci sono i pro ed i contro, come sempre, da tenere in considerazione. Andiamo a scoprire le perplessità riguardo a questa modalità di investire denaro:
  • rendimento basso: è chiaro che chi vuole rischiare di più e vuole ottenere interessi più elevati deve guardare altrove. “E c’era bisogno che me lo dicevi?” potreste pensare: l’esperienza ci insegna che vale sempre la pena ripetere concetti anche considerati elementari;
  • scarsa possibilità di realizzare soldi nell’immediato: anche questo è un fatto scontato ma lo ripetiamo per correttezza. Poi, a dire il vero, sono pochi gli investimenti che consentono ai piccoli risparmiatori di guadagnare tanto denaro nel breve periodo, e non possono di certo consentire questo i Bfp.
Per approfondire leggi anche: Come risparmiare soldi ogni mese - Come investire 1000 euro oggi - Come risparmiare soldi ogni giorno
Andiamo ora a vedere i buoni fruttiferi postali che si possono sottoscrivere in questo momento (marzo 2016), il loro rendimento e le caratteristiche.

Quanto valgono i buoni che ho sottoscritto? Per accertarsi, sul sito delle Poste esiste uno spazio apposito per il calcolo degli interessi e del valore dei Bfp che si posseggono.

Buoni postali non più sottoscrivibili (ARCHIVIO 2015)

Dopo la sforbiciata data ad inizio anno, sono rimaste poche serie ancora sottoscrivibili con nuove condizioni che abbiamo esposto precedentemente. Questo paragrafo vale come archivio!
  • BFP 3x4 Fedeltà: dal 18 febbraio 2016 è in collocazione la serie TF112A160218 i cui interessi sono riportati di seguito
    0,30% al terzo anno, 0,50% al sesto anno, 0,60% al nono anno e 0,75% al dodicesimo anno;
  • BFP Ordinari: durata ventennale, dal 18 febbraio 2016 è attiva la serie TF120A160218 con i seguenti tassi che riguardano il singolo anno, fino al 20esimo
    0,01% 0,01% 0,01% 0,15% 0,15% 0,15% 0,15% 0,30% 0,30% 0,30% 0,30% 0,40% 0,40% 0,40% 0,40% 0,60% 0,60% 0,60% 0,60% 0,60%;
  • BFP Europa: altra tipologia ormai storica di BFP, la nuova emissione a partire dal 18 febbraio prevede le seguenti condizioni di base valide per la Serie EL104A160218
    0,01% annuo lordo standard + lo 0,30% nel caso in cui l'indice Euro Stoxx 50 superasse il + 10%. Per approfondire, vi invitiamo a consultare l'articolo specifico sui BFP Europa che spiega il funzionamento.
  • BFP dedicati ai minori. Nuova collocazione anche qui a partire dal 18 febbraio 2016, oggi è sottoscrivibile la serie TF118A160218 di cui riportiamo le condizioni:
    0,25% 0,25% 0,25% 0,25% 0,25% 0,25% 0,27% 0,29% 0,31% 0,33% 0,35% 0,38% 0,40% 0,42% 0,44% 0,46% 0,48% 0,50% - I tassi indicati valgono per il singolo anno, dal primo fino al diciottesimo che è la durata massima e sono ovviamente da intendersi lordi.

Storico buoni postali in collocazione da marzo 2015

Ecco i buoni collocati a partire dal 20 marzo 2015 e le relative condizioni. Riportiamo anche le serie non più sottoscrivibili, a memoria di coloro che hanno comprato quando era ancora possibile:
  • BFP Diciottomesi - Serie D53 in vigore dal 20 marzo 2015: si tratta di una forma di investimento a breve durata (18 mesi). Sono rimborsabili in qualsiasi momento, dopo sei mesi si ha diritto al riconoscimento degli interessi fissi maturati. Il rendimento lordo cresce di semestre in semestre: dallo 0,10% annuo lordo dei primi 6 mesi, si passa allo 0,15% del secondo semestre e allo 0,20% annuo del terzo semestre. Per approfondire, si invita a leggere la nostra guida sul rendimento Bfp 18mesi. ATTENZIONE: a partire dal 10 agosto 2015 detti buoni non sono più sottoscrivibili.
  • BFP 3x4: durata massima di 12 anni, sono un investimento di media-lunga durata. Possono essere rimborsati in anticipo e si ha diritto alla restituzione del capitale investito. Trascorsi tre anni dalla sottoscrizione, essi garantiscono gli interessi fissi che sono maturati in coincidenza della scadenza intermedia precedente.Il rendimento effettivo annuo lordo (Serie T34 marzo 2015) è dello 0,20% nei primi 3 anni, dello 0,60% dal quarto al sesto anno, dell'1% dal settimo al nono anno e alla scadenza, negli ultimi due anni, è dell’1,40%. A partire dall'11 gennaio 2016 tali buoni non sono più sottoscrivibili;
  • BFP dedicati ai minori: sono la forma di investimento più appetibile dedicata solo ai minorenni. Durata massima 18 anni, rendimento annuo lordo della Serie M97 valida dal 20 marzo 2015 alla scadenza 1,77%. Gli interessi maturano fino al compimento del 18esimo anno di età;
  • Buoni fruttiferi postali ordinari: durata massima vent’anni, tasso annuo lordo 2,50% alla scadenza (Serie C18 valida dal 20 marzo 2015). Rimborsabili in qualsiasi momento, il riconoscimento degli interessi è annuale. Gli interessi sono dello 0,15% per i primi 3 anni per poi aumentare ogni biennio salendo rispettivamente allo 0,30%, 0,50%, 0,75%,1%, 1,25%, 1,50%, 1,75%, 2% e 2,50% nell'ultimo biennio.
  • Buoni postali indicizzati all’inflazione italiana: assicurano un rendimento fisso unitamente ad uno variabile in base all’inflazione. Durata dell’investimento decennale: Possono essere rimborsati anticipatamente in qualsiasi momento, il diritto alla restituzione del capitale investito c’è sempre unitamente al riconoscimento, dopo 18 mesi, degli interessi fissi e dell'inflazione calcolati nel periodo. La serie J48 valida dal 20 marzo 2015 assicura interessi crescenti che arrivano allo 0,50% negli ultimi due anni (9° e 10°) a cui sommare il rendimento agganciato all'inflazione;
  • BFP indicizzati all'inflazione EXTRA (Serie JA3): hanno una durata decennale e maturano gli interessi bimestralmente. Oltre al rendimento fisso e al recupero dell'indice FOI, assicurano un rendimento premiale sull'importo della prima rata portata a scadenza. Sono sottoscrivibili esclusivamente da chi ha aderito al Piano di risparmio "Risparmiodisicuro Extra".
  • BFP Europa: sono pensati per una durata media dell’investimento. La serie P70 (dal 20 marzo 2015) prevede un rendimento fisso garantito pari allo 0,10% annuo lordo e la possibilità di premi aggiuntivi annuali che maturano sulla base dell’andamento dell’indice azionario EURO STOXX 50.
  • BFP a 3 anni (Serie N14): la durate è di tre anni trascorsi i quali il buono diventa infruttifero. Il tasso annuo lordo è rispettivamente: 0,10%, 0,10% e 0,75%. Il collocamento è sospeso a partire dal 18 gennaio 2016;
  • BFP 4x4 - Serie “Q02”: gli interessi maturati vengono riconosciuti ogni quattro anni, quindi per avere capitale e interessi occorre che passi un quadriennio dopo il quale l’investitore può eventualmente rivedere il proprio programma. Rendimento lordo pari allo 0,25% dal primo al quarto anno mentre si passa all’0,75% lordo dal quinto all’ottavo. Aumentano i rendimenti dal nono al dodicesimo anno (1,25%) e dal tredicesimo fino al sedicesimo (ultimo anno) si passa al 1,75%. A partire dall'11 gennaio 2016 il collocamento è sospeso;
  • BFP4x4 Fedeltà - Serie “K07”: si tratta di un BFP dedicato a chi è in possesso di buoni scaduti. Per i primi quattro anni il tasso lordo è dello 0,75% che sale all’1,75% dal quinto all’ottavo anno. Dal nono al dodicesimo è pari al 2,76% mentre dal tredicesimo al sedicesimo anno è del 2,75% annuo. La collocazione è sospesa dall'11 gennaio 2016;
  • BFP4x4 Risparmi Nuovi - Serie “W05”: Poste Italiane dedica questo Buono fruttifero postale a chi decide di investire nuova liquidità. Per quanto concerne i rendimenti, nei primi quattro anni è dello 0,40% lordo mentre sale all’1,40% lordo dal quinto all’ottavo anno. Interessante il 1,80% lordo invece assicurato dal nono al dodicesimo anno di investimento mentre gli ultimi tre anni, dal tredicesimo al sedicesimo anno, il rendimento garantito è pari al 2,41%. La collocazione è sospesa a partire dall'11 gennaio 2016.

Conviene investire in buoni fruttiferi postali? Rendimento basso ma sicuro: pochi pensieri per i risparmiatori

Se il vostro profilo di rischioè basso, le conoscenze non sono approfondite e volete stare tranquilli, piuttosto che tenere la liquidità sul conto corrente postale o bancario oppure “sotto la mattonella”, può essere conveniente valutare una di queste forme di investimento: sul punto consigliamo anche le nostre considerazioni sui titoli di stato. Non esistono investimenti validi per tutti, i buoni postali rispondono alle esigenze dei risparmiatori meno pretenziosi in termini di interessi e più attenti a tutelare il proprio capitale dalle pazzie del mercato (al riguardo, in questo articolo abbiamo approfondito il ragionamento).

Nell'aggiornare la nostra guida a marzo 2016 possiamo dire che, visto il generale calo di rendimento dei conti deposito a cui abbiamo assistito nel corso dell'anno, i BFP rappresentano un'alternativa più che valida (alcune tipologie di buoni, non tutti indistintamente!) di medio periodo in considerazione delle vacche magre che registriamo sul mercato dell'investimento della liquidità a breve. Tuttavia le Poste, a fronte di una grande campagna pubblicitaria, hanno dato un taglio a molti strumenti in collocazione ed ai tassi d'interesse, per cui bisogna valutare la convenienza veramente caso per caso e non possiamo più spezzare una lancia, come abbiamo fatto in passato, in favore di Poste Italiane. Vista la situazione di alcuni istituti di credito, inoltre, vi suggeriamo la lettura della guida sulle banche a rischio bail-in in cui abbiamo cercato di fare chiarezza sull'argomento.

Chiudiamo, infine, rimandando alla guida agli investimenti sicuri per approfondimenti più dettagliati e, soprattutto, per l'acquisizione di una maggiore consapevolezza generale sul tema della gestione del proprio portafoglio.

Pensione di vecchiaia INPS 2016: requisiti uomini, donne, autonomi, pubblico impiego

La pensione di vecchiaiaè erogata dall’INPS a uomini e donne al raggiungimento di determinati requisiti contributivi ed anagrafici. Lavoratori dipendenti privati e del pubblico impiego e lavoratori autonomi possono inoltrare l’istanza all’Istituto di Previdenza una volta lasciato il lavoro. Come fare domanda? Quali sono i requisiti per il pensionamento nel 2016? Andiamo a vedere l’età pensionabile prevista dalla legge per quest’anno, cercando di sciogliere tutti i dubbi che sorgono a chi si approssima al raggiungimento del tanto atteso traguardo. Attenzione: necessario è il raggiungimento dell’anzianità contributiva minima che deve essere pari a 20 anni che diventano 15 per le categorie indicate dalla circolare INPS n. 16/2013. Di seguito tutte le cose che bisogna sapere per l'anno in corso.

Tra le varie cose che bisogna sapere, ricordiamo che con la riforma Fornero del 2011 sono stati inaspriti anche i requisiti per accedere alla pensione di vecchiaia. Ciò ha portato e porterà, nel corso degli anni, ad un graduale innalzamento dell'età pensionabile sia per far fronte alle esigenze di finanza pubblica che stanno determinando un progressivo taglio ai costi sociali del nostro Paese, sia perchè le prestazioni previdenziali sono ormai ancorate all'aspettativa di vita che, negli ultimi decenni, ha conosciuto mediamente un certo miglioramento.
Leggi anche: Pensione Sociale 2016, importo assegno: info requisiti e domanda INPS - Pensione integrativa con le assicurazioni: conviene?

Età pensionabile per pensione di vecchiaia: donne dipendenti settore privato, lavoratrici autonome e gestione separata 

Le donne dipendenti del settore privato possono andare in pensione nel 2015 a 63 anni e 9 mesi. Dal 1° gennaio 2016 però c'è stato un innalzamento: oggi si lascia a 65 anni e 7 mesi.
Diverse le regole per le lavoratrici autonome e per coloro che hanno versato nella gestione separata INPS. Età prevista per quest’anno è 64 anni e 9 mesi che diventano 66 e 1 mese nel 2016, salvo riforme.

Pensione di vecchiaia INPS 2016: uomini dipendenti settore privato e pubblico e autonomi

Uomini e donne impiegati nella pubblica amministrazione possono fare domanda di pensionamento a 66 anni e 7 mesi nel 2016.
Per quanto riguarda gli autonomi e gli iscritti alla gestione separata, si segnala anche per loro un incremento di quattro mesi: oggi servono 66 anni e 7 mesi per poter godere delle prestazioni dell'INPS.


Donne dipendenti del settore privato
Donne lavoratrici autonome e gestione separata
Uomini e donne impiegati nella pubblica amministrazione
Uomini autonomi
Anno 2015
63 anni e 9 mesi
64 anni e 9 mesi
66 anni e 3 mesi
66 anni e 3 mesi
Anno 2016
65 anni e 7 mesi
66 anni e 1 mese
66 anni e 7 mesi
66 anni e 7 mesi

Pensione di vecchiaia per i lavoratori nel sistema contributivo

I soggetti per i quali il primo accredito contributivo decorre dal 1° gennaio 1996 (cioè coloro che rientrano nel modello “contributivo puro”), possono ugualmente ottenere la pensione ma oltre al requisito contributivo di 20 anni e al requisito anagrafico indicato precedentemente, sono necessarie altre condizioni:

A) se l’importo della pensione è superiore a 1,5 volte quello dell’assegno sociale, valgono le stesse regole esposte sopra (20 anni di contributi + età anagrafica fissata dalla legge);

B) in assenza dei requisiti indicati al punto A), il trattamento spetta al compimento dei 70 anni di età e con 5 anni di contribuzione “effettiva” a prescindere dall’importo della pensione. Tale requisito risulta essere soggetto agli adeguamenti rispetto alle stime sull’aspettativa di vita.

Come fare domanda? 

L’istanza all’INPS si può presentare nei tre modi che riportiamo di seguito:
  • Telefonicamente al numero 803164 gratuito da rete fissa o al numero 06164164 da rete mobile a pagamento secondo la tariffa del proprio gestore telefonico;
  • Su internettramite PIN attraverso il portale www.inps.it;
  • Tramite enti di Patronato e intermediari autorizzati dall’Istituto, che mettono a disposizione dei cittadini i necessari servizi telematici.

Decorrenza

La riforma pensioni del 2011 ha portato alla disapplicazione delle c.d. finestre mobili: per questo motivo la pensione di vecchiaia, unitamente alla pensione anticipata, decorre a partire dal primo giorno del mese successivo a quello in cui l’assicurato raggiunto l’età pensionabile richiesta dalla legge ai fini della percezione dell'assegno da parte dell'INPS.

Per aver diritto a ricevere la prestazione dall'Istituto di Previdenza Sociale, è richiesta la cessazione del rapporto di lavoro dipendente eventualmente in essere. Non è, invece, richiesta la cessazione dell'attività svolta in qualità di lavoratore autonomo anche se ci sono particolari deroghe riguardo il versamento dei contributi previdenziali che abbiamo approfondito nella guida a cui vi rimandiamo.

Autofattura: chi la deve emettere? - Guida

Quando parliamo di autofattura ci riferiamo ad un documento fiscalmente valido che l’imprenditore, sia azienda che persona fisica, può mettere nei confronti di se stesso. Si tratta di un istituto che può essere utilizzato esclusivamente nei casi specificati dalla legge, che andremo ad analizzare uno per uno, al fine di offrirvi un supporto per la comprensione quantomeno elementare di questo specifico istituto.

La questione degli omaggi: quando mettere autofattura

Gli omaggi il cui valore è inferiore a 25,82 euro non devono essere fatturati, non sussistendone l’obbligo secondo la legge. Per le cessioni di beni che sono gratuite (omaggio appunto) e superano il valore di 25,82 euro possiamo invece ricorrere al regime delle autofatture. In questo caso però non ci si rivarrà dell’IVA sul destinatario e la stessa diventerà non detraibile. In alternativa si può emettere comunque fattura nei confronti del cliente, indicando come valore zero e aggiungendo soltanto l’IVA dovuta, specificando in fattura la dicitura “cessione gratuita”.

L’autofattura per autoconsumo

Il secondo caso tipico di applicazione di questo regime è quando una parte dei beni che sono ritenuti di consumo dell’azienda, vengono invece consumati personalmente dall’imprenditore. Tale attività è soggetta all'imposizione IVA ed è dunque necessario emettere autofattura, indicando sempre il valore dei beni che sono stati consumati in questo modo. Anche nel caso di svuotamento dell’impresa, quando l’attività cessa, è necessario procedere nel medesimo modo.

L’autofattura-denuncia

Si tratta di un caso previsto dall’articolo 6, comma 8, D.Lgs. 471/97, che indica tassativamente come operare nel caso in cui, entro 4 mesi dalla realizzazione di un’operazione che possa essere considerata rilevante ai fini IVA, non si si ancora ricevuta la fattura. In questo caso l’azienda dovrà emettere auto-fattura e presentarla entro 30 giorni all’ufficio IVA che è competente per le operazioni sul territorio dove risiede l’impresa.

Il caso della fattura irregolare

Anche ne caso di fattura irregolare è necessario emettere autofattura e presentarla al più vicino Ufficio Iva entro 15 giorni da quando è stata registrata. Si tratta dunque di due casi diversi, quello della fattura inesistente e quello invece della fattura irregolare, che presentano anche termini differenti per la presentazione all’Ufficio IVA, di cui dovremmo tenere conto per non incorrere in sanzioni.

L’autofattura come reverse Charge - per gli acquisti da non residenti

Quando si acquistano beni o servizi da aziende che non sono residenti in Italia o che comunque non hanno nessun tipo di rappresentanza legale nel nostro Paese (parliamo del regimereverse charge), è necessario emettere autofattura, fatta eccezione per quei casi in cui l’Imposta sul valore aggiunto può essere desunta dalla bolletta doganale che accompagna le merci.

L’autofattura per acquisto da impresa agricola libera da adempimenti fiscali

Tutti i piccoli imprenditori che operano nel nostro paese nel settore agricolo e hanno un volume d’affari che è inferiore ai 7000 euro su base annuale non hanno alcun tipo di obbligo a dichiarare o a tenere la contabilità, fatta eccezione per quello di tenere in ordine le fatture d’acquisto e quelle che vengono emesse dai clienti in sua vece. Il regime in questione non è assolutamente obbligatorio, ma può essere appunto scelto se e solo se non si supera un volume di affari di 7000 euro per anno solare. In questo caso, che possiamo chiamare di esonero agricolo, l’obbligo contabile però ricade in capo ai clienti dell’agricoltore esonerato. Questi, quando acquistano merci o servizi, sono costretti ad emettere autofattura. Va indicata contestualmente l’imposta relativa, che viene stabilita seguendo quelle che sono le aliquote che corrispondono alle proprie percentuali di compensazione. Starà comunque all’agricoltore conservare l’autofattura e trattiene l’IVA indicata in fattura, dato che è esonerato dal versamento. Chi invece acquista la merce registrerà la fattura, tenendola separatamente nel registro degli acquisti. Si tratta di un regime di esonero particolarmente interessante, che è valido fino all’anno solare successivo a quello in cui è stato superato il volume d’affari di 7000,00 euro.

Come emettere un’autofattura per acquisto da imprenditore agricolo esonerato

Innanzitutto in capo a sinistra vanno inseriti i dati dell’agricoltore esonerato: dovranno essere indicati il nome o la denominazione, l’indirizzo dell’esercizio dell’attività, il codice fiscale e/o la Partita IVA. Successivamente va inserita la numerazione dell’autofattura, che è separata da quella delle altre fatture.

Successivamente va inserito “Per acquisti prodotti agricoli da ditta esonerata”, indicando di nuovo tutti i dati fiscali dell’azienda in questione.

Successivamente è bene elencare tutti i beni agricoli acquistati, con relative quantità e prezzi. Indicare successivamente il totale imponibile e l’aliquota IVA di compensazione. Calcolare il totale fattura.

Chiudere con la la dicitura “Autofattura emessa per acquisti da soggetto esonerato ex D.P.R. 633/72, art. 34, comma 6.”.

Opinioni conto deposito Chebanca 2016: interessi netti, costi, imposta di bollo

Prosegue la rassegna di Affari Miei sui migliori modi per investire i risparmi: oggi analizzeremo il conto deposito Chebanca!, dando uno sguardo alle condizioni che sono valide fino al dal 1° marzo al 16 aprile 2016. A quanto ammontano gli interessi netti? Che costi ha la tenuta del conto deposito online? L’imposta di bollo è a carico del cliente? I risparmiatori sono soliti cercare in rete queste informazioni, concentrandosi sulle opinioni ed i commenti che vengono postati su forum e blog di settore. Noi proveremo come sempre a fare qualche conto e dire la nostra sulla soluzione in esame.

Per approfondire il tema risparmio e investimento, consigliamo di leggere la sezione del blog dedicata alla Finanza. Qui, invece, potete conoscere i dettagli sul conto corrente di Chebanca!Image may be NSFW.
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 mentre in un altro articolo abbiamo recensito lacarta di credito di CheBanca!.

Ti potrebbero interessare le nostre guide su:


Conto deposito Chebanca!: rendimenti marzo-aprile 2016

La nuova offerta di Chebanca! è valida dal 1° marzo al 16 aprile 2016 e prevede la corresponsione del tasso lordo del 2% di interessi per i clienti che vincolano nuova liquidità per 3 mesi. Gli interessi vengono corrisposti in anticipo, con accredito sul conto.
Letture consigliate: Guida ai conti correnti più convenienti del momento - Guida ai conti deposito più convenienti del momento

Conto deposito Chebanca! Costi e opinioni per investimento

Tralasciando la promozione di cui abbiamo detto, in questa parte dell'articolo vediamo le condizioni standard previste dall'istituto quando non ci sono offerte. Per aprire un conto deposito con Chebanca! basta uno euro: i costi sono azzerati, a carico del cliente l’imposta di bollo (che sui conti deposito è dello 0,20% annuo della somma depositata) e la ritenuta sugli interessi maturati fissata dalla legge al 26% (sui conti correnti è al 20%, su titoli di stato e buoni postali al 12,50%).
A quanto ammontano gli interessi lordi? Il tasso base è pari allo 0,50% e cresce con l’aumento del vincolo:
  • 3 mesi: 0,50%
  • 6 mesi: 0,70%
  • 1 anno: 1%
Tali condizioni sono quelle di base che cambiano in base all'offerta del momento eventualmente pubblicizzata. E’ possibile fare più vincoli, combinando le varie soluzioni: importo minimo del singolo vincolo pari a 100 euro. Uno dei vantaggi proposti da CheBanca sta nel fatto che gli interessi vengono corrisposti in anticipo: al momento in cui si sceglie la durata del vincolo, si ricevono anticipatamente e possono restare sul conto a maturare altri interessi oppure essere prelevati.
Tra gli altri vantaggi del conto deposito di CheBanca!, oltre agli interessi anticipati, troviamo il fatto che gli i soldi possono essere sempre svincolati senza penali e l’adesione dell’istituto al Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi che copre la garanzia fino a 100 mila euro.

Opinioni Conto Deposito CheBanca!: conviene? Calcolo interessi netti

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Se avete un gruzzolo da investire è chiaro che vogliate capire se conviene oppure no mettere i risparmi sul conto deposito di CheBanca! Noi abbiamo seguito il loro simulatore: quanto scriviamo è oggetto del calcolo fatto dall’istituto. Depositando 10 mila euro per un anno (tasso 1% lordo – 0,74% netto) gli interessi netti sono 73,85 euro. Ad essi, però, dobbiamo sottrarre l’imposta di bollo (0,20%) che ammonta a 20 euro: il guadagno netto è di 54,16 euro (73,85-20,00). Nel confrontare i vari conti deposito, in definitiva, consigliamo di togliere sempre dal calcolo che i siti delle banche mostrano l’ammontare dell’imposta di bollo, ammesso che l’istituto non proponga di pagarla al posto del cliente.
La stima precedente, comunque, non tiene conto delle eventuali promozioni che, di solito, rappresentano una maggiorazione del tasso base. Infatti fino ad aprile, come scritto in apertura, viene concesso il 2% lordo.
E' sicuro diventare clienti di CheBanca? Qui tutti i dettagli 
In conclusione, l'offerta pare interessante vista la situazione tutt'altro che rosea per il settore. E' un po' una costante di tutti i conti deposito che, di questi tempi, non risultano essere particolarmente appetibili rispetto ad un tempo. Continueremo a seguire l'evolversi della situazione nelle prossime settimane: per approfondire, vi suggeriamo di leggere la nostra guida sugli investimenti sicuri.

Assegno circolare postale: caratteristiche, scadenza e incasso

Come funziona l'assegno circolare postale? Le banche da moltissimo tempo rappresentano uno dei riferimenti dei risparmiatori che vogliono investire soldi oppure che hanno bisogno di attuare determinate operazioni come il trasferimento di denaro, emissione di assegni circolari o bancari. Tuttavia da anni le banche si trovano di fronte ad un concorrente in ascesa: si tratta delle Poste Italiane, le quali hanno ampliato il loro settore di affari e di competenza, che inizialmente era dedicato perlopiù ai servizi di spedizione pacchi e ovviamente di lettere.

Un cambiamento quasi epocale

Il cambiamento nell’offerta dei prodotti è stato in parte una necessità, in seguito alla diffusione di un diverso e importante mezzo di comunicazione (e quindi concorrente delle Poste), ossia internet, che ha facilitato l’invio di dati e comunicazioni rendendo più lento e oneroso il ricorso agli uffici postali. Per questo motivo anche le Poste Italiane hanno incominciato ad occuparsi dell’erogazione di strumenti finanziari come quelli di cui si occupano, appunto, le banche. Le Poste, rispetto alle banche, hanno una marcia in più, in quanto i loro uffici si possono facilmente trovare in ogni paese di tutta l’Italia, a differenza degli istituti di credito bancario, che sono meno diffusi: infatti vi sono oltre 14.000 uffici postali in tutto il territorio nazionale, anche nei paesi più sperduti. Ciò ha permesso di conquistare la fiducia e i favori di moltissime persone, compresi gli anziani, che hanno bisogno di sportelli il più vicino possibile alla propria abitazione per poter riscuotere comodamente la pensione. Le Poste da decenni inoltre raccolgono i risparmi delle famiglie e li sfruttano per implementare l’economia reale, ovviamente investendo in maniera fruttuosa il denaro dei clienti.

Assegni circolari: chi può versarli e in che modalità

Le Poste Italiane, quindi, così come gli istituti bancari, possono emettere gli assegni circolari (che naturalmente qui prendono il nome di assegni postali). Vi sono differenze tra quelli postali e quelli emessi dalle banche? La risposta è negativa: sia quelli emessi dalle banche che quelli emessi dalle poste presentano le stesse caratteristiche e le stesse funzioni. 

Ma che cos’è l’assegno circolare postale? Si tratta di uno strumento di pagamento che permette ad un cliente dotato di un conto corrente postale di non adoperare il denaro contante, proprio grazie all’emissione dell’assegno, che sostituisce i soldi. I carnet degli assegni e quindi poter emettere un assegno di questo tipo? Innanzitutto specifichiamo che per potere emettere un assegno circolare postale non è obbligatorio avere acceso in precedenza un conto corrente presso Poste Italiane, dal momento che è possibile per un cliente presentarsi allo sportello muniti di denaro contante e ricevere in cambio il titolo emesso dall’operatore. Tuttavia questo strumento si rivolge soprattutto ai titolari di un conto: quando un cliente decide di aprire un conto presso questo istituto, le Poste, all’apertura dello stesso, gli rilasciano un blocchetto di assegni a blocchi da 10.Questi assegni possono essere adoperati per pagare somme a terzi, attingendo dal conto aperto da colui che deve versare il denaro: non è possibile versa denaro in più rispetto alla cifra depositata sul conto, a garanzia del ricevente. Colui che ha ricevuto la somma attraverso l’assegno circolare postale (ossia il possessore dell’assegno) deve presentarsi nei termini previsti per incassare il credito stabilito sul titolo. Nel caso in cui l’assegno sia stato emesso su piazza, allora il pagamento deve essere richiesto entro gli 8 giorni dalla data di emissione; invece, nel caso in cui l’assegno circolare postale sia stato emesso fuori piazza, l’incasso deve avvenire entro 15 giorni dall’emissione. Oltre al tempo utile per il ritiro, l’assegno emesso su piazza o fuori piazza si differenzia anche perchè nel primo caso si intende che l’assegno sia stato emesso nello stesso comune in cui viene riscosso, mentre nel secondo caso l’assegno è stato emesso in un Comune differente da quello in cui verrà incassato. Per quanto riguarda la compilazione dell’assegno circolare postale, questo deve contenere il nome e il cognome del beneficiario, la somma da ordinare per il pagamento (scritta in cifre che in lettere) deve riportare la data e il luogo di emissione e infine la firma di colui che lo ha emesso, il debitore dell’operazione.

Caratteristiche degli assegni circolari postali

Sinora abbiamo analizzato le basi degli assegni circolari, pressoché applicabili sia nel caso dell’assegno bancario che nel caso di quello postale. Ora analizziamo caratteristiche proprie dell’assegno circolare postale. Una delle peculiarità più incisive riguarda la clausola di non trasferibilità. Questa clausola comporta il titolo non possa essere girato dal beneficiario verso terzi, ma deve essere incassato proprio dal beneficiario indicato su di esso. Questa caratteristica è voluta per permettere di tracciare con maggiore facilità i pagamenti e per poter quindi assicurare che a riscuotere il credito indicato sia effettivamente la persona che ne ha diritto. Per poter riscuotere la somma il destinatario dell’assegno deve presentarsi presso uno degli sportelli di Poste Italiane, ricordandosi di portare un documento di identità in corso di validità. In realtà esiste un modo per chiedere che l’assegno circolare postale sia emesso senza che venga applicata la condizione della non trasferibilità: ciò può essere richiesto per le somme da fino a 999 euro, tuttavia in questo caso bisogna versare un’imposta di bollo pari a 1,50 euro. 

La caratteristica della non trasferibilità è una delle peculiarità dell’assegno circolare postale, ora analizziamo invece un altro tipo di garanzia supplementare che l’istituto emittente, ossia le Poste Italiane, fornisce al beneficiario. Qual è questa garanzia? Essa consiste nel fatto che l’assegno può venire emesso direttamente in filiale soltanto su richiesta del correntista, limitatamente alle somme disponibili sul conto e verificate dall’operatore postale, il quale provvederà a effettuare l’addebito sul conto del cliente. Ciò implica una maggiore sicurezza per il beneficiario dell’assegno, in quanto una volta giunto all’ufficio Postale per incassare la somma indicata sul titolo non troverà brutte sorprese, visto che le Poste hanno provveduto anticipatamente a controllare che il conto del cliente che siglato l’assegno circolare fosse fornito della somma indicata. In altre parole il conto è certamente coperto e quindi non vi è possibilità di non incassare l’assegno.

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Vivere e lavorare in Inghilterra: guida per trasferirsi in Regno Unito

Con la disoccupazione giovanile che ha appena superato la soglia del 40%, non è un mistero che molti italiani abbiano cominciato a guardarsi altrove alla ricerca di un impiego. Tra i Paesi che offrono le maggiori opportunità, almeno nell’immaginario collettivo, troviamo sicuramente il Regno Unito, terra delle opportunità a due ore di volo, dove una buona rete di italiani che si è stabilita ormai da decenni può essere un ottimo punto di partenza per cominciare a vivere da quelle parti. O forse no, perché nella guida che segue troverete un ritratto per quanto possibile realistico e comunque disincantato di quella che, almeno a guardarla dal Mediterraneo, è una terra del bengodi, in una visione che poi fa però purtroppo a cazzotti con la realtà. Siete pronti per scoprire se vale la pena oppure no di vivere e lavorare in Inghilterra?

Non esistono posti “semplici” e non esistono Paesi dalle porte così aperte da permettere praticamente a tutti di trovare il lavoro dei sogni. Questa regola è ovviamente valida anche per il Regno Unito, terra sicuramente di opportunità, ma da conquistare con sudore e competenze.

Non solo Londra

Nell’immaginario collettivo di noi italiani il Regno Unitoè praticamente associato con Londra. La City, il cuore della finanza europeo e mondiale, dove tutti possono trovare lavoro e possibilmente vivere nella prosperità (almeno secondo quanto in molti credono), non è però l’unico posto dove possiamo pensare di accasarci. Esistono infatti moltissime altre città, che troverete subito elencate di seguito:
  • Manchester: oltre ad essere la città che ospita due tra i migliori club calcistici del mondo, è una città dall’economia estremamente viva. Ha la fama di essere addirittura più grigia di Londra, ma si tratta comunque di qualcosa che sta cambiando a ritmi davvero spaventosi. Manchester offre molto svago, una scena musicale impareggiabile forse nel mondo, che offre impiego sia nel settore industriale che in quello dei servizi.
  • Liverpool: per Liverpool vale grosso modo lo stesso discorso che abbiamo fatto per Manchester. Città incredibilmente viva, che non è più soltanto porto, ma un mondo economico fatto principalmente di servizi, soprattutto ricettivi e ricreativi. Ambiente frizzante, economia che tira, forse è più interessante di Londra per un immigrato di primo pelo.
  • Bristol: incredibile a dirsi, ma è la città inglese con il più basso tasso di disoccupati. Altissima qualità della vita, si guadagna bene (e si spende meno che a Londra). Città viva, adatta sia ai giovani che ai meno giovani.
  • Birmingham: La seconda capitale inglese, con un settore dei servizi che è letteralmente esploso più di dieci anni fa e che continua ad attrarre giovani da tutto il mondo. Ambiente multiculturale, moltissimi studenti universitari, vale sicuramente la pena tenerla in considerazione.
  • Glasgow: Ci spostiamo più a nord, in quello che è il centro finanziario ed economico della Scozia. Posto estremamente interessante, che offre moltissimi posti di lavoro nel settore delle comunicazioni, dei media, della salute, e anche del retail. La vita notturna di Glasgow è forse seconda soltanto a quella di Londra ed è al tempo stesso una delle città più interessanti anche per gli studenti.

Si guadagna bene, ma occhio agli affitti

Non pensate di poter arrivare e campicchiare in zona 1 a Londra con i risparmi che vi siete portati dietro. Gli affitti, soprattutto negli ultimi anni, sono diventati da capogiro, e non è difficile trovarsi a pagare anche 200 pound (quanto vale una sterlina?) a settimana per una stanza in un’abitazione condivisa a circa 40 minuti di metro dal centro della City. Questo è dovuto principalmente all’estrema forza economica di Londra, una città il cui centro è praticamente occupato in pianta stabile da stranieri facoltosi e lavoratori della City, quelli che portano a casa stipendi annuali a 6 zeri e che dunque non hanno problemi a sborsare anche 5.000 sterline al mese per un piccolo appartamento.

Quando si calcola come si vivrà, economicamente parlando, a Londra, bisogna dunque tenere in debita considerazione anche questo fattore. Non ci sono pasti gratis, ripeteva Milton Friedman, e in ossequio alle parole del popolare economista statunitense, a Londra hanno pensato di farveli pagare doppi, anche rispetto alle più care città italiane.

I costi degli affitti continuano a salire al ritmo del 2–5% l’anno a seconda della zona, e dunque saranno con ogni probabilità la più importante voce di spesa che vi troverete ad affrontare.
La situazione è pressoché identica nelle altre città economicamente sviluppate: con il crescere degli stipendi e del livello i produttività continuano a crescere anche gli affitti, e per moltissimi potrebbe non essere un ottimo affare trasferirsi da quelle parti. In alcuni casi dovrete spendere anche la metà del vostro salario per permettervi un tetto, una cucina condivisa e una camera singola. Anche i prezzi delle stanze condivise sono piuttosto cari.

Occhio alle agenzie che promettono lavoro

Il mercato dell’immigrazione verso il Regno Unito è tanto vivo che sono in molti gli avvoltoi che hanno deciso di sfruttarlo economicamente, spesso con metodi non limpidi e ai limiti della legalità. Sono moltissime, come riportato da diversi approfondimenti delle maggiori testate italiane, le agenzie gestite da italiani che, con la scusa di prepararvi un curriculum, vi spillano soldi con la finta promessa di un lavoro. Le testimonianze sono moltissime e ci costringono ad invitarvi a pensarci non due, ma tre volte prima di affidare il vostro futuro nel Regno Unito a questi personaggi.

Legislativamente parlando, anche nel Regno Unito Come in Italia è proibito chiedere al lavoratore compenso per avergli trovato lavoro. Per aggirare questa norma però si fatturano preparazione del Curriculum Vitae, la preparazione dell’abbigliamento per l’intervista e altri tipi di servizi: il risultato è che in molti sborsano cifre anche consistenti per poi trovarsi in mano un pugno di mosche. Meglio fare per conto proprio, seguendo quelli che sono i consigli che vi daremo tra pochissimo.

Come muoversi appena arrivati in Inghilterra

Anche in Inghilterra, paese noto per una burocrazia particolarmente snella, ci sono degli adempimenti burocratici ai quali bisogna sottoporsi. Appena arrivati è necessario richiedere il National Insurance Number, un codice che assolve le funzioni che in Italia vengono espletate dal codice fiscale. Potete richiederlo nei Jobcentre plus, degli uffici governativi che sono praticamente in ogni quartiere. Attenzione, perché senza il National Insurance Number non si può lavorare legalmente nel Regno Unito.

Al tempo stesso è necessario avere sia un buon Curriculum Vitae, sia una lettera di presentazione. Nel caso in cui se ne fosse sprovvisti e non si ha modo di prepararli per conto proprio, si può comunque utilizzate uno dei servizi offerti dalle centinaia di agenzie per l’impiego che troverete in tutte le maggiori città del Regno Unito. Si tratta di servizi che costano tra il 50 e i 100 sound. Chi voglia fare da solo può rivolgersi comunque al sito della BBC, la televisione/radio pubblica inglese, per ottenere diversi esempi di quello che è un buon CV preparato per il mercato britannico.

La necessità di un ottimo livello di inglese

Pensare di poter lavorare in Inghilterra ed in particolare a Londra senza conoscere ad un ottimo livello la lingua ingleseè pura fantascienza. Anche per le occupazioni più triviali, quelle che per intenderci si fanno in genere appena si è arrivati in un Paese (pensiamo al classico cameriere del pub) è necessario avere una conoscenza dell’inglese che vada oltre i classici Good Morning e Good Afternoon.

Rete sì, ma non aspettatevi grandi aiuti

Nonostante gli italiani residenti a Londra, a Manchester e a Bristol siano tantissimi, non aspettatevi di trovare il piatto pronto. Al contrario di quanto avveniva in America qualche decennio fa, non possiamo assolutamente dire che si sia formata una comunità virtuosa di aiuto che possa fornirvi lavoro e sistemazione appena arrivati.

Ok con la solidarietà tra connazionali, ma non aspettatevi granché. Chi vuole emergere nel Regno Unito dovrà sudare dalla propria fronte per ottenere risultati, sia sotto il profilo della carriera che sotto il profilo più squisitamente economico.

Dove trovare lavoro?

La prima soluzione, che potete consultare già da prima di partire alla volta del paese della Regina, sono i siti internet:
  • Sulla zona di Manchester va molto forte mymanchesterjobs.co.uk, sito che trova lavoro sulla sua zona principale di interesse;
  • Su Liverpool potete consultare myliverpooljobs.co.uk e liverpoolinwork.co.uk;
  • Peelports.comè un sito che è invece dedicato ai lavori al porto di Liverpool;
  • Bristolpost.co.uk/jobsè invece il sito principale di riferimento per chi voglia stabilirsi a Bristol;
  • Per Glasgow consigliamo invece glasgowjobs.com e gla.ac.uk/about/jobs;
  • per la zona del porto di Aberdeen si può consultare aberdeen-harbour.co.uk;
  • per la zona di Leeds è invece consigliato jobs.leeds.gov.uk;
  • chi vuole invece stabilirsi a Derby, deve consultare derby.gov.uk/jobs-and-careers.
Sono molto popolari anche le agenzie interinali. Qui il nostro consiglio è di evitare chi vi offre il comfort della lingua italiana, dato che comunque senza l’inglese non andrete da nessuna parte. Dietro questo tipo di agenzie italiane si celano spesso sofisticati schemi per scucirvi pound su sound, con la promessa di trovarvi un lavoro. Il tutto, come abbiamo detto poco fa in apertura, si risolve spesso e volentieri senza alcun tipo di risultato e tante sterline in meno in tasca. Indeed.co.ukè il sito più importante del paese per trovare lavoro, e troverete tantissime offerte anche nella City.

Che tipo di lavori sono richiesti nel Regno Unito?

Praticamente tutti. Trattandosi di un paese che ha ancora alle spalle un importante manifattura e comunque un enorme settore logistico per tramite dei suoi porti, nel Regno Unito è possibile trovare lavori anche manuali.

Chi invece vuole una posizione da “colletto bianco”, troverà nelle maggiori città facilità di impiego nel settore della finanza, dell’economia, della gestione del risparmio, della legge e anche nel settore dell’ingegneria. Sono tante anche le opportunità per gli accademici, anche se è forse il caso di percorrere altre vie e contattare direttamente le università per accasarsi.

Come muoversi per la casa?

Dato che sarete alla ricerca, con ogni probabilità, di una casa da condividere, il primo posto in cui recarsi sono le diverse università del paese. Troverete bacheca ricchissime di annunci di persone che cercano un compagno di casa o di stanza e in pochi giorni potrete agilmente chiudere la pratica.
Le agenzie immobiliari possono sicuramente dare una mano, anche se le loro commissioni sono molto alte e forse non è assolutamente il caso di rivolgervisi, soprattutto se si sta partendo, metaforicamente parlando, con la valigia di cartone.

Anche in questo caso le agenzie italiane sono assolutamente da evitare: commissioni su commissioni per finire in appartamenti sovrapprezzati, in un paese dove il caro affitti è già un problema piuttosto serio. A seconda della città il prezzo per una stanza può variare grandemente, e a meno di non trovare immediatamente un lavoro remunerativo, difficilmente avrete la fortuna di abitare nel centro della città che avrete scelto.

Vivere e lavorare in Inghilterra non è un avventura per tutti

Il Regno Unito, in conclusione, non è assolutamente un’avventura per tutti. Prima di fare un passo del genere vi invitiamo dunque ad accertarvi di avere tutte le carte in regola (professionalità richiesta e lingua inglese su tutte) e soprattutto ad anticipare quelli che potrebbero essere i problemi che vi aspettano una volta che vi sarete trasferiti.

Cambiare Paese, anche se la destinazione è l’accogliente Regno Unito, non è una passeggiata e soprattutto i primi tempi saranno durissimi, spesso conditi tra doppio o triplo lavoro saltuario per far quadrare i conti alla fine del mese. È anche vero che il Regno Unito ha dalla sua un sistema estremamente meritocratico e che prima o poi i vostri sforzi saranno sicuramente premiati.

Servono documenti per immigrare nel Regno Unito?

No. Basta la Carta d’Identità italiana e, per chi lavora, munirsi immediatamente dell’Insurance Number. Si tratta di burocrazia che riesce ad essere sbrigata in pochissimo tempo, spesso anche in giornata e questo fa onore alla proverbiale efficienza del sistema pubblico inglese. Anche aprire un’azienda è questione di 24 ore. Ma di questo parleremo in un altro speciale.

Pubblicazione del testamento olografo: procedura completa

Alla notizia della morte di una persona, viene immediatamente aperto, laddove presente, il testamento dando origine a quella che in diritto si chiama successione testamentaria. A questo segue anche pubblicazione, al fine di rendere tutti i soggetti che potrebbero averne interesse, edotti sulle ultime volontà del defunto. Avvenuta la pubblicazione del testamento, questo smette di essere un atto interno del soggetto e diventa documento pubblico, che comincia a produrre i suoi effetti per i soggetti interessati.

Dove avviene la pubblicazione del testamento?

La pubblicazione avviene tramite trascrizione presso il registro delle successioni, un registro apposito che viene mantenuto presso ogni cancelleria di tribunale. Per la pubblicazione si fa in genere riferimento al luogo di residenza del defunto.

Chi si occupa della pubblicazione?

Il notaio, che redige un verbale che riassuma brevemente quanto reso noto dal defunto attraverso le sue ultime volontà, alla presenza di due testimoni. Il notaio deve altresì descrivere lo stato fisico del testamento e aggiunge il contenuto esatto allo stesso verbale. Nel caso in cui si fosse dovuti procedere all’apertura di un sigillo, questa va segnalata nello stesso verbale.

Il verbale deve essere altresì firmato per conferma da chi ha presentato il testamento, dal notaio stesso e anche dai due testimoni. Al verbale vanno anche allegati la scheda testamentaria, documento che viene comunque preparato dal notaio, e l’atto di morte.

Cosa succede dopo la pubblicazione?

Una volta che il verbale viene pubblicato presso la cancelleria del Tribunale, questo comincia a produrre i suoi effetti e diventa esecutivo. Successivamente il notaio rende noto a ereditari e legatari dell’avvenuta pubblicazione del testamento olografo, limitando però la sua azione ai soggetti per i quali siano noti o residenza o domicilio.

L’occultamento del testamento

Il soggetto che è in possesso di un testamento olografo, non appena gli giunga la notizia della morte del testatore, deve necessariamente consegnarlo ad un notaio, al fine di pubblicarlo. In caso contrario, chiunque possa avere interesse alla pubblicazione del testamento può fare ricorso al tribunale, intimando la pubblicazione entro un certo termine. Ricordiamo inoltre che occultare testamento è reato punito dal nostro Codice Penale all’articolo 490 e viene sottoposto alle stesse pene previste per il falso del pubblico ufficiale.

La cancellazione su richiesta di alcune parti

Le parti che non riguardano strettamente questioni di carattere patrimoniale possono essere cancellate, su iniziativa del giudice, dalla copia che si andrà a pubblicare. Ogni copia prodotta successivamente vedrà le parti non strettamente economiche e cancellate dal giudice espunte dal testo. Unico modo di recuperarle è su richiesta dell’autorità giudiziaria, che può richiedere il rilascio in copia integrale.

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